
Fonte foto: Chiara Venturini
Rivalità femminile: quando i leoni da tastiera sono le donne
C’è qualcosa di profondamente inquietante nel vedere come, ancora oggi, la solidarietà femminile venga spesso tradita proprio da chi dovrebbe incarnarla. L’altro ieri, una ragazza ha denunciato pubblicamente un medico per averle rivolto commenti poco carini, forse sessisti, forse semplicemente inopportuni. Ma ciò che ha fatto più rumore non è stata la denuncia in sé, bensì la reazione che ne è seguita. Le prime a scagliarsi contro di lei non sono stati uomini indignati o professionisti in difesa della categoria. No. Sono state altre donne.
Donne che l’hanno accusata di esagerare, di cercare visibilità, di voler “rovinare la carriera a qualcuno per due parole”. Donne che, invece di ascoltare, hanno giudicato. Che, invece di sostenere, hanno attaccato. E allora viene da chiedersi: perché? Perché quando una donna alza la voce, le prime a zittirla sono spesso le sue simili?
La rivalità silenziosa che diventa urlo
La rivalità tra donne non è una novità. È un fenomeno antico, radicato, alimentato da secoli di competizione indotta. Ci hanno insegnato che c’è posto per una sola donna alla volta: una sola sul podio, una sola nella stanza dei bottoni, una sola che può essere “la più bella”, “la più brava”, “la più ascoltata”. E così, invece di costruire ponti, abbiamo imparato a scavare fossati.
Sui social questa dinamica si amplifica. L’anonimato, o la distanza emotiva dello schermo, rende più facile il giudizio, più immediato il sarcasmo, più crudele il commento. E quando a digitare sono donne, il paradosso si fa ancora più amaro. I leoni da tastiera non hanno genere, ma quando ruggiscono con voce femminile contro un’altra donna, il suono è più stridente.
Il bisogno di smarcarsi
Forse c’è un bisogno inconscio di smarcarsi. Di dire “io non sono come lei”, “io non mi lamenterei”, “io non farei la vittima”. È un modo per sentirsi superiori, per prendere le distanze da un’immagine che si teme possa riflettere anche sé stesse. Ma in questo processo, si perde qualcosa di prezioso: la possibilità di essere alleate.
Essere donna non significa essere automaticamente solidale. Ma forse dovrebbe significare almeno essere disposta ad ascoltare, a sospendere il giudizio, a riconoscere che ogni esperienza è diversa. Che il dolore non si misura con il righello dell’oggettività, ma con la sensibilità di chi lo prova.
Il cambiamento parte da noi
Non è facile spezzare questo meccanismo. Richiede consapevolezza, esercizio, volontà. Richiede di riconoscere quando stiamo per scrivere un commento velenoso e chiederci: “Perché lo sto facendo? Cosa voglio dimostrare?” Richiede di imparare a celebrare le conquiste altrui come se fossero anche un po’ nostre. Di vedere nella voce di un’altra donna non una minaccia, ma un’eco della nostra.
La rete può essere uno spazio di confronto, di crescita, di emancipazione. Ma solo se smettiamo di usarla come un’arena. Solo se impariamo a essere meno gladiatrici e più compagne di viaggio.
Conclusione
Quando i leoni da tastiera sono le donne, il ruggito fa più male. Perché tradisce una speranza, una possibilità, un’idea di sorellanza che ancora fatica a diventare realtà. Ma ogni volta che scegliamo di ascoltare invece di attaccare, di sostenere invece di giudicare, facciamo un passo verso quel cambiamento. E forse, un giorno, i social saranno davvero uno spazio dove le donne si alzano in piedi non per combattere tra loro, ma per sorreggersi a vicenda.
Si è persa la solidarietà femminile proprio, proprio perché non ci si parla più come prima. Oggi conta solo la presenza il lavoro, il farsi notare e arrivare. L’ apparire è più importante di ascoltare, i messaggi sono divertenti per altri, più importanti del comunicare facendo una chiamata tutto sta andando nel serbatoio a causa dei social ecc. Ma la vita vera è altro, quella che un tempo, basta vedersi tra amici davanti a un caffè per parlare di tutto e di più adesso con i social sai tutto prima e non c’è sfizio più.
Purtroppo quello che hai scritto è un discorso totalmente diverso rispetto a quello che ho scritto nel mio editoriale. Infatti si parla di donne leoni da tastiera.