
La pace impossibile si rivela ogni giorno più lontana, tra interessi geopolitici, retoriche contrapposte e il silenzio della diplomazia
Tre anni e mezzo di guerra. Migliaia di morti, milioni di sfollati, un’Europa che ha smesso di dormire. Eppure, eccoci ancora qui: a parlare di un incontro tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky come fosse un miraggio diplomatico, una chimera che si avvicina e si dissolve con la stessa rapidità.
Donald Trump, nel suo nuovo ruolo da mediatore globale, ha annunciato un bilaterale imminente. Ginevra, Ungheria, forse Roma. Ma intanto Putin vola in Cina, Zelensky denuncia nuovi raid, e l’Occidente si divide tra garanzie di sicurezza e sanzioni preventive.
Vogliono davvero parlarsi?
Putin, il leader che non può atterrare in metà Europa per via del mandato della Corte Penale Internazionale, continua a muoversi come se il tempo fosse dalla sua parte. Zelensky, il presidente che ha trasformato la resistenza in identità nazionale, non può permettersi concessioni senza perdere consenso e credibilità.
La diplomazia a due velocità
E allora, cosa resta? Resta la retorica. Resta il balletto delle dichiarazioni. Resta la diplomazia a due velocità: quella che promette e quella che bombarda.
Ma attenzione: non è solo colpa loro. È il mondo intero che ha smesso di credere nella pace come progetto concreto. Troppo comoda la guerra per chi vende armi, troppo utile per chi vuole ridefinire confini e poteri.
La pace non è impossibile. È solo scomoda
La pace non è impossibile. È solo scomoda. E forse, proprio per questo, non arriverà da un tavolo tra due presidenti. Ma da chi, come noi, continua a scriverne, a pretenderla, a ricordare che ogni giorno senza pace è un giorno rubato alla storia.