Salvatore Ocone, operaio di 58 anni, ha ucciso la moglie, Elisa Polcino, di 49 anni, colpendola ripetutamente con una pietra fino a farla cadere sul colpo davanti a numerosi testimoni. Dopo, invece di consegnarsi, si è dato alla fuga insieme ai due figli minori, una 16enne e un 15enne, ed è ora ricercato dai carabinieri. Sono intervenuti i militari della stazione locale e il comando provinciale per i rilievi e le prime indagini. Una piccola comunità quella sannita che é rimasta profondamente scossa dall’evento proprio come un fulmine può squarciare il cielo di estate.
Ma come si è arrivati a questo ennesimo femminicidio?
Secondo quanto sarebbe emerso, la lite tra marito e moglie sarebbe arrivata al culmine martedì mattina. La dinamica non è ancora chiara tuttavia sono in corso le indagini portate vanti dai carabinieri locali e dal comando provinciale di Benevento e vengono raccolte le prime testimonianze.
Ma chi era la povera vittima ?
Aveva 49 anni e viveva a Paupisi con il marito e i due figli piccoli. Sembrerebbe che la coppia, secondo quanto emerso dalle prime indiscrezioni, non fosse nuova a litigi ed avesse più volte mostrato il lato altamente conflittuale della loro relazione. Tuttavia il movente preciso va ancora accertato ma troverebbe quasi certamente origine in tensioni domestiche non bene individuate. La procura di Benevento ha aperto un fascicolo per omicidio volontario e seguirà da vicino le indagini, mentre la polizia giudiziaria sta cercando di ricostruire il passato recente della coppia e rinvenire eventuali precedenti denunce o episodi di violenza.
La ferita di una comunità dopo il femminicidio che l’ha colpita
Paupisi oggi è un paese smarrito, che si stringe attorno alla famiglia della vittima, ma anche che si interroga: potevamo fare qualcosa? Abbiamo visto i segnali? Abbiamo avuto paura di guardare? Nei piccoli centri la violenza si nasconde più facilmente, soffocata dalla vergogna, coperta da quella frase velenosa: “Sono cose di famiglia”. Ma la violenza non è mai privata, è un problema di tutti. La violenza non è mai un episodio isolato ma sempre l’inizio di un qualcosa da fermare sul sorgere laddove possibile.
Una strage continua…
Ogni volta diciamo “mai più”, eppure i numeri raccontano l’opposto: in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa da chi avrebbe dovuto proteggerla, amarla, rispettarla. Non è destino, è responsabilità. È il fallimento di una società che ancora considera la donna “proprietà”, che normalizza la gelosia, che minimizza gli schiaffi e che arriva a giustificare l’omicidio con parole come “raptus”. Certo oggi non sappiamo le reali ragioni dietro l’episodio, o meglio non conosciamo cosa abbia potuto scatenarlo perché di ragioni non si dovrebbe mai parlare.
Femminicidio: oltre l’indignazione
Il dolore di Paupisi deve diventare rabbia collettiva. Non basta piangere la vittima, serve cambiare la cultura che alimenta questi delitti, che genera il fenomeno del femminicidio: educazione nelle scuole, prevenzione vera, ascolto e protezione immediata per chi trova il coraggio di denunciare. Perché non sia il coraggio delle donne a salvarle, ma la forza delle istituzioni e della comunità. Quella donna non è solo un nome in più in un elenco che si allunga. È una ferita che riguarda ciascuno di noi. E se restiamo in silenzio, diventiamo complici. Fa rabbia dover scrivere sempre gli stessi concetti ma d’altronde non possiamo fare altro noi che dare l’esempio per primi, gridare per primi, indignarsi per primi, denunciare per primi.

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