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Premio Nobel per la Pace a chi sfida la dittatura, non a chi la corteggia
Il Premio Nobel per la Pace 2025 ha scelto il coraggio civile, non il marketing geopolitico. Ha scelto María Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, e ha ignorato le pressioni, le sponsorizzazioni e gli endorsement di chi pensava che la pace si potesse confezionare come un accordo commerciale. La notizia è stata riportata da L’Espresso, che ha rilanciato l’annuncio ufficiale del Comitato Nobel da Oslo. Nulla da fare per Donald Trump, candidato al Nobel grazie a una spinta congiunta di Benjamin Netanyahu e del Cremlino. Il Comitato ha preferito una donna che lotta per la democrazia, non un uomo che la democrazia l’ha spesso piegata a suo favore.
Chi è María Corina Machado
Machado, ingegnere industriale nata a Caracas nel 1967, è diventata il volto più riconoscibile della resistenza democratica in Venezuela. Fondatrice del gruppo di monitoraggio elettorale Súmate e del partito Vente Venezuela, ha sfidato il regime di Nicolás Maduro con una determinazione che le è costata persecuzioni, intimidazioni e una dichiarazione di ineleggibilità per 15 anni. Eppure, nel 2023 ha vinto le primarie dell’opposizione con un margine schiacciante, dimostrando che il popolo venezuelano non ha dimenticato né la sua voce né la sua visione.
Le motivazioni del Comitato Nobel
Il Comitato del Nobel ha motivato la scelta con parole che pesano come pietre: “Per il suo instancabile lavoro nella promozione dei diritti democratici del popolo venezuelano e per la sua lotta per raggiungere una transizione giusta e pacifica dalla dittatura alla democrazia”. Machado è stata definita “una coraggiosa e impegnata paladina della pace”, “una figura chiave e unificante in un’opposizione politica che un tempo era profondamente divisa”. In altre parole, il Nobel ha premiato la resilienza, non la retorica.
Trump e il Nobel mancato
E qui entra in scena il paradosso: mentre Machado vive in una sorta di clandestinità per motivi di sicurezza, continuando a coordinare l’opposizione dall’interno del Venezuela, Trump si aspettava il Nobel come coronamento di un accordo di tregua in Medio Oriente. Netanyahu lo aveva proposto, la Russia lo aveva appoggiato, e il mondo si era preparato a una cerimonia che avrebbe celebrato la diplomazia muscolare. Ma il Comitato ha risposto con eleganza e fermezza: “La decisione si basa solo sul lavoro e sulla volontà di Alfred Nobel”.
Un premio che premia il coraggio, non la strategia
Il messaggio è chiaro: il Premio Nobel per la Pace non è un trofeo da esibire in campagna elettorale, né un riconoscimento da barattare tra alleati. È un tributo al coraggio, alla coerenza, alla capacità di tenere accesa la fiamma della democrazia anche quando tutto intorno sembra spegnersi. E in questo, María Corina Machado ha incarnato un modello che va ben oltre i confini del Venezuela.
Il Nobel va a una donna. E questo conta
Il fatto che il premio sia andato a una donna, per di più in un contesto latinoamericano segnato da autoritarismi e misoginia politica, aggiunge un ulteriore strato di significato. Machado non è solo una leader: è un simbolo. Di resistenza, di dignità, di speranza. E il Nobel, quest’anno, ha scelto di premiare proprio questo.
Trump, invece, dovrà accontentarsi di una candidatura mancata e di un silenzio che suona come una risposta. Il Comitato ha preferito guardare ai ritratti dei suoi predecessori, come ha dichiarato durante la cerimonia, e ha scelto “nel nome del coraggio e dell’integrità”. Due parole che, evidentemente, non si prestano a interpretazioni elastiche.