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Se si analizzassero a fondo tutte le riforme della giustizia penale si riscontrerebbe sempre un tratto comune: ossia nascono ed arrivano sempre con la stessa promessa, lo stesso obiettivo, ossia quella di “semplificare”, di “rendere più efficiente” un sistema che, a detta di tutti, non funziona come dovrebbe. È successo di nuovo con la legge n. 114 del 2024, la cosiddetta riforma Nordio, che ha toccato tre nervi scoperti del nostro ordinamento: l’abuso d’ufficio, le intercettazioni e la custodia cautelare e tanto altro, tutti argomenti scottanti e fortemente discussi.
Il punto di vista di chi frequenta ogni giorno le aule di giustizia…
Da penalista che frequenta ogni giorno le aule di giustizia, e da cittadino prima ancora che da giurista, non posso fare a meno di interrogarmi se la giustizia che si sta costruendo sia davvero più giusta, o semplicemente più rapida? Il quesito a cui bisogna rispondere è proprio questo, perché se da una parte il sentimento popolare è giustamente quello di pretendere una giustizia più veloce e pronta, la ratio del giurista è di non assistere alla trasformazione di un sistema di garanzie in un sistema improntato alla giustizia sommaria in nome della rapidità. Ecco uno schema delle principali novità disciplinate con la nuova normativa.
L’abolizione dell’abuso d’ufficio: tra libertà amministrativa e vuoti di tutela
L’abrogazione dell’articolo 323 c.p. è stata salutata da molti del settore pubblico come una liberazione. Ed è vero da una parte: difatti la norma era formulata in modo generico e spesso trasformava un sospetto in un processo, paralizzando decisioni che spettavano alla discrezionalità politica.Ma chi vive la giustizia sul campo sa, anche, che tale ipotesi di reato era uno strumento per colpire certe condotte non limpide, moralmente gravi ma in ogni caso non sempre riconducibili ad una condotta illecita e penalmente rilevante. Alla base dell’abrogazione, quindi, la necessità di semplificare la pubblica amministrazione e ridurre la “paura della firma” dei funzionari pubblici, oltre a un carico giurisprudenziale considerato esiguo.
La Giustizia fra intercettazioni e il diritto di sapere
Da difensore, so bene quanto un’intercettazione possa cambiare il destino di un processo. È uno strumento potente, spesso decisivo, anzi spesso l’unico reale mezzo di ricerca della prova utilizzato ma allo stesso tempo anche uno strumento molto pericoloso. La riforma Nordio ne limita l’uso e, soprattutto, la diffusione sui media: le trascrizioni non più rilevanti non potranno essere pubblicate. Una tutela sacrosanta della riservatezza, specie in un’epoca in cui il processo mediatico arriva prima di quello giudiziario. Eppure, il rischio, oggi, è quello di una giustizia silenziosa, dove tutto è segreto per “tutelare”, ma poco è comprensibile per “educare”. Teniamo sempre ben presente che il nostro è un sistema che non può permettersi di perdere di credibilità agli occhi dei cittadini.
Custodia cautelare e dignità della persona
La revisione dell’articolo 274 c.p.p. impone una maggiore verifica della “concretezza” del pericolo di reiterazione del reato. È un passo importante. Troppe volte si vedono persone passare mesi in custodia cautelare per poi essere assolte. La libertà personale è un bene che non si restituisce con una sentenza. La riforma tenta di correggere questa deriva, e qui mi sento di condividerne pienamente lo spirito: meno automatismi, più motivazioni, più garanzie. Pertanto la previsione dell’obbligo di un interrogatorio preventivo e la competenza che passa al Tribunale collegiale dovrebbero, almeno in linea di principio, fornire ulteriori garanzie nella complessa materia del processo cautelare.
Il cittadino tra sfiducia e bisogno di giustizia
Quelle descritte sono solo alcune ovviamente delle modifiche apportate dalla nuova riforma della giustizia rimandando al mio precedente articolo in merito invece al tema “separazione delle carriere”. Si tratta di novità importanti, rilevanti, che almeno nelle idee dovrebbero fornire maggiori garanzie ed al contempo snellire i carichi dei Tribunali (come per esempio si propone la limitazione al potere di impugnazione del Pubblico Ministero). Tuttavia, chi lavora nel campo della giustizia, e soprattutto chi lo fa dalla parte del cittadino, come noi penalisti, conosce bene la doppia percezione che la giustizia suscita nella società: da un lato è “troppo lenta”, dall’altro “troppo indulgente”. Ma entrambe le critiche nascono dallo stesso luogo: la distanza tra il diritto e la vita reale.
Le reazioni del cittadino comune a queste riforme…
Quando un cittadino legge che un pubblico ufficiale viene assolto perché il reato non esiste più, o che un’indagine non può essere raccontata perché “coperta da segreto”, la sensazione è di un sistema che parla un linguaggio estraneo, un linguaggio apparentemente lontano da quelle che sono le difficoltà che ogni giorno si vivono sulla propria pelle. Il senso di insicurezza e la sensazione costante di impunità che secondo molti caratterizza la società moderna, sono morse che bloccano lo sviluppo ed il corretto vivere civile. Il diritto penale, invece, dovrebbe essere l’idioma più comprensibile dello Stato: quello che dice, in parole chiare, cosa è giusto e cosa non lo è..
Conclusione: il ruolo della difesa nella giustizia penale
Per questo ritengo che ogni riforma, anche la più tecnica, debba essere accompagnata da un’opera di educazione civica: spiegare, informare, rendere trasparenti i meccanismi della giustizia. Il cittadino non chiede infallibilità, ma onestà e coerenza. In un momento storico in cui la giustizia penale sembra oscillare tra efficienza e garanzie, credo che l’avvocato penalista debba tornare al suo ruolo originario: custode dei diritti e ponte tra la legge e la società. Le riforme passano, le norme cambiano, ma la sostanza resta: difendere non significa assolvere chi sbaglia, significa proteggere la misura della libertà di tutti. Come avvocato, continuo a credere che il diritto penale non debba essere né punitivo né indulgente, deve essere giusto, guardando sempre negli occhi le persone.
