In un tranquillo angolo dell’Abruzzo, tra boschi e colline, si consuma una vicenda che sta dividendo l’opinione pubblica italiana. Una coppia anglo-australiana decide di vivere con i suoi tre figli – una bambina di otto anni e due gemelli di sei – in un casolare isolato senza elettricità, gas o rete fognaria, sostenendosi con un pozzo per l’acqua e pannelli solari per l’elettricità. Ma la loro scelta di libertà ha attirato l’attenzione della magistratura, che ora contesta loro presunti “gravi pregiudizi” per i minori.
L’inizio della storia della famiglia
La storia della famiglia che vive nel bosco viene alla luce per un episodio avvenuto il 23 settembre 2024, quando i tre bambini sono vengono soccorsi in ospedale per un’intossicazione da funghi raccolti nella zona boschiva. Durante l’intervento dei soccorsi, i carabinieri sono arrivati fino al casolare e hanno segnalato le condizioni abitative. Descrivono una struttura in parte fatiscente, con pareti lesionate, servizi essenziali scarsi, niente gas né rete fognaria. Secondo la Procura minorile dell’Aquila, la situazione presenta “grave pregiudizio” per i bambini, anche a causa dell’assenza di una vita sociale strutturata e della mancanza di un’assistenza sanitaria adeguata.
Il dibattito dal punto di vista legale
Nel 2025 il caso è arrivato davanti al Tribunale per i minorenni dell’Aquila, che ha deciso un provvedimento drastico: la sospensione della potestà genitoriale e l’allontanamento dei tre figli, trasferiti in una struttura protetta. I giudici hanno motivato la decisione parlando di “assenza di socializzazione”, di igiene a rischio e di una casa priva di garanzie strutturali: possibile “rischio sismico, incendi, mancanza di impianti sicuri”. Inoltre, secondo il Tribunale, il metodo educativo scelto dai genitori – l’unschooling (istruzione libera, senza scuole tradizionali) – non garantirebbe il diritto del bambino a vivere relazioni sociali con i coetanei.
Le reazioni della famiglia
Per la coppia, però, questa non è incuria ma una scelta di vita consapevole di una famiglia sicuramente sui generis. Nathan Trevallion (51 anni) e Catherine Birmingham (45 anni) affermano che i propri figli vivono “felici, sani, liberi”: crescono a contatto con la natura, con animali (hanno cavallo, asino, gatti), imparano quotidianamente dall’ambiente e non soffrono la mancanza di una vita “moderna”. Il padre ha dichiarato che la perdita dei bambini è un enorme dolore: “Mi sento triste e vuoto”, ha detto in un’intervista dopo l’allontanamento.
Il sostegno pubblico
Intanto, questa famiglia raccoglie una vasta ondata di solidarietà. Una petizione online e decine di migliaia di firme per chiedere che i bambini possano restare con i genitori nel bosco. Anche i nonni intervengono nella vicenda scrivendo lettere emozionate al tribunale dove descrivono i nipoti come “affettuosi, pieni di vita”, affermano che i genitori sono premurosi e chiedono che non venga distrutto il loro legame familiare.
Le ragioni della scelta della famiglia
Una scelta radicale, forte e senza precedenti. Dopo anni vissuti a ritmi incessanti, girovagando per vari Paese, lavorando, si decide di tornare a vivere allo stato semplice, forse troppo, ma comunque lontani dalla vita mondana tossica e stressante. Per questa famiglia, l’educazione alternativa e la convivenza con la natura non sono un ripiego, ma un progetto di vita: educare i figli non solo sui libri, ma attraverso il contatto diretto con il mondo naturale.
I punti critici secondo la magistratura
I giudici, tuttavia, hanno evidenziato più problemi: igiene e sicurezza: l’abitazione non sarebbe adeguata per garantire salubrità, sicurezza strutturale e protezione da rischi sismici o incendi. Difatti al di là delle scelte filosofiche di vita da imporre anche ai loro ignari figli, ciò che rileva in assoluto è la sicurezza latente della loro abitazione. Tuttavia il problema che si pone per i piccoli è gli effetti anti socializzanti di un completo isolamento nel bosco, che non consentono una formazione completa in un contesto sociale adeguato. Infine, come ultimo punto critico, l’educazione: impartire una istruzione “casalinga” senza un percorso scolastico regolare, senza un’adeguata verifica dell’idoneità educativa è senz’altro da biasimare.
Il futuro della vicenda
La famiglia, difesa dall’avvocato Giovanni Angelucci, ha già annunciato ricorso: nei prossimi giorni i genitori potranno opporsi alla decisione del tribunale. Al di là della vicenda giudiziaria, il tema che si pone in maniera preponderante è fino a che punto i genitori hanno diritto di scegliere un modello di vita per i propri figli, che poi siano o meno convenzionali, salubri o non, idonei o meno sarà un Tribunale a deciderlo. Cosa significa oggi essere persone che vivono fuori dai binari? Chi può decidere convenzionalmente cosa sia giusto o meno per un bambino? Ecco, questi sono gli spunti di riflessione di una vicenda che sembra avere del grottesco, almeno superficialmente.
Conclusioni sul caso della famiglia nel bosco
Personalmente riconosco il pieno diritto per ognuno di noi di potersi scegliere dei modelli di vita autonomi, indipendenti, sebbene non allineati con le convenzioni moderne, purché ciò non incida su dei bambini. I piccoli avranno tutto il tempo per farsi un’idea propria, ma, soprattutto all’inizio, crescere secondo binari sicuri, non banali, è fondamentale. Crescere in uno status di sicurezza, seguiti, in un contesto sociale e scolastico adeguato è decisivo per il proprio percorso, Pertanto, non si può ritenere che escludere ai minori le stesse possibilità di un coetaneo sia giusto in nome di una filosofia che non è stata scelta ma imposta. Si spera comunque che facendo dei passi indietro ciò che per natura è stato creato possa non separarsi per mano dell’uomo.
