Era il 29. Maggio. Una data come le altre per il calendario. Ma non per chi conosce la storia di Davide Michelotti.
Ventuno anni, classe 2000. Un numero tondo, preciso, con dentro i sogni che si rincorrono veloci come il passo di un esterno d’attacco su una fascia verde, ancora da calpestare tutta. Cresciuto tra i pali, i dribbling e le urla della Lombardia Uno, poi il Real Melegnano, la Barona, e infine Club Milano. Non era solo talento, no: era determinazione. Era passione. Era quella voglia di mordere la vita, con un pallone tra i piedi e lo sguardo acceso. Finché un giorno, nel 2021, una curva maledetta e un motorino gli hanno strappato tutto. Tutto, tranne il ricordo.
E qui, qui, entra in campo Andrea Michelotti, il padre. L’uomo. Il dirigente. Il compagno di campo e di sogni. L’unico che poteva farlo: riportare Davide in vita. No, non come dicono i romanzi rosa. Ma con il sudore, con il cuore, e con quel linguaggio universale che si chiama calcio.
Il Memorial – Quando la memoria diventa festa, e la tragedia respiro
Così nasce il Memorial Davide Michelotti, oggi alla sua quarta edizione. Una di quelle idee che sembrano piccole come un fischio d’inizio e che invece diventano grandi, gigantesche, come un coro di genitori che applaude anche l’ultimo dei sostituiti. Perché sì, qui non si gioca solo per vincere: si gioca per celebrare. Per ricordare. Per fare rumore di vita proprio dove il silenzio avrebbe voluto regnare.
«Davide era buono. Non l’ho mai sentito insultare nessuno», racconta Andrea, con la sua straordinaria lucidità, come solo chi ha attraversato il dolore più grande può avere.
«Questo torneo è nato per divertire i ragazzi, per riportare il rispetto e lo spirito di squadra. E in questi giorni… l’ho visto. Ho rivisto Davide».
Le partite degli Esordienti B sono uno spettacolo. Livello altissimo, dice Andrea. Ma più che i gol, i tunnel, i rigori (che pure ci sono, e si fanno belli), conta quella cosa lì. Quella magia che riempie il campo e toglie peso all’aria. Il silenzio al minuto di raccoglimento che scuote le viscere. Gli abbracci ai rigori, veri, spontanei, fraterni. Il piccolo omaggio che Andrea consegna a ogni squadra, come un dono silenzioso ma pieno di gratitudine. Un gesto che ha la forma del cuore.

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Quando il calcio diventa linguaggio dell’anima
Il campo, dice qualcuno, è un palcoscenico sacro. Chi ci entra, cambia. Vive, soffre, ama. E in quel rettangolo c’è tutto: gioia, sconfitta, speranza. E c’è anche un padre che non si arrende. Che non lascia il dolore in un angolo. Che lo trasforma in memoria, e la memoria in energia.
C’è Gabriele Gallicchio, l’allenatore, l’amico, la figura guida. C’è una comunità che si stringe attorno al campo come ci si stringe attorno ad un falò in una notte d’inverno. A scaldarsi con il ricordo, con i racconti, con le partite.
Perché il Memorial continuerà…
Perché questo è un torneo vivo, perché è Davide che gioca ancora, che sorride dietro ogni passaggio riuscito, ogni applauso, ogni corsa a perdifiato. Perché è Andrea che, con ogni nuova edizione, vince la sua sfida più grande: non lasciare che il 29 maggio sia solo una data triste. Ma che diventi, anno dopo anno, una festa del calcio. Della vita. Dell’amore.
E allora sì, signori: benvenuti al Memorial.
Davide è in campo. E non se ne andrà mai.


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