
Dove dovrebbero esserci applausi e incoraggiamenti, troppo spesso si alzano urla, insulti e persino spinte e violenza inaudita e gratuita. È la fotografia amara di molte partite di calcio giovanile in Italia, dove il tifo dei genitori – nato per proteggere e sostenere i propri figli – degenera in episodi di aggressività e violenza.
La domenica di calcio che finisce sempre più spesso in rissa
Una semplice domenica mattina, campo sportivo di provincia. Due squadre di calcio giovanile si sfidano sotto un sole timido di fine estate. A bordo campo, i genitori incitano, commentano, criticano. Quando l’arbitro annulla un gol dubbio, qualcuno perde la calma: volano parole grosse. Non è un episodio isolato. Negli ultimi mesi, federazioni e società sportive denunciano un aumento di comportamenti violenti sugli spalti, spesso messi in atto da genitori che dovrebbero dare il buon esempio. Non ultimo il grave episodio accaduto nel torinese:
Portiere tredicenne picchiato in una partita di calcio nel torinese, l’aggressore si scusa: “Ma la storia è stata ingigantita”
L’uomo spiega la sua versione dei fatti. “Sono intervenuto per difendere mio figlio e ho tirato solo uno schiaffo all’altro ragazzino”. Il suo legale: “I leoni da tastiera prolificano: il mio assistito sta ricevendo messaggi con minacce di morte”. “Chiedo scusa per la mia reazione, ma è andata diversamente da com’è stata raccontata: io sono intervenuto per difendere mio figlio e ho tirato solo uno schiaffo all’altro portiere”. A dirlo è il 40enne denunciato per aver picchiato un portiere di 13 anni al termine di una partita a Collegno, in provincia di Torino. “La verità verrà fuori”, ha aggiunto la moglie.
Il legale dell’aggressore: “Sta ricevendo minacce di morte dopo quella partita di calcio”
“Nulla giustifica quello che ha fatto il mio cliente ma è un papà ed è umano – ha detto a Repubblica l’avvocato Beatrice Rinaudo, cui si è rivolto il papà sotto accusa -. Ha visto picchiare suo figlio, che è pure più piccolo dell’altro ragazzo. Siamo dispiaciuti ma non è giusto che la società avversaria cavalchi la vicenda, in modo da apparire su tv e giornali e magari vincere la partita a tavolino”. “Il mio assistito è molto dispiaciuto per quanto sta emergendo, che lo sta mettendo in grande difficoltà – ha aggiunto l’avvocato Rinaudo -. In questi casi i leoni da tastiera prolificano: sta anche ricevendo messaggi con minacce di morte”.
Il video dell’aggressione
Intanto gli inquirenti sono al lavoro per ricostruire i fatti, grazie anche a un video dell’aggressione, girato dagli spalti, che ricostruisce i momenti concitati. A partire dall’inizio della rissa, scattata per una reazione del portiere, poi finito in ospedale con trauma cranico e malleolo rotto. Al termine della partita tra Csf Carmagnola e Volpiano Pianese, squadre del Torinese, finita 1-0 per il Carmagnola, sul campo è scoppiato un parapiglia. I giovani giocatori delle due squadre si sono insultati, come spesso accade in queste occasioni, magari per un fallo o una spinta di troppo. A questo punto l’imprevedibile: un genitore del Carmagnola scavalca la recinzione, raggiunge il portiere del Volpiano Pianese e lo colpisce con un pugno al volto. Poi continua a picchiarlo, fino a quando i dirigenti delle due squadre riescono a bloccarlo.
L’iperprotettività che diventa ossessione anche per una semplice partita di calcio
«Mio figlio non si tocca!», «L’arbitro è incapace!», «Il mister non capisce niente!». Frasi gridate con rabbia che raccontano un fenomeno sempre più diffuso: il genitore-allenatore, il genitore-tifoso, il genitore-giudice. L’intenzione è proteggere il proprio bambino, ma il risultato è soffocarlo. Secondo gli psicologi dello sport, dietro questi comportamenti si nasconde un meccanismo di identificazione: molti adulti vivono il successo del figlio come una rivincita personale. Ogni fallo subito diventa un affronto, ogni sconfitta una ferita narcisistica. Non è delineato più il netto confine fra ciò che è lecito e ciò che non lo è.
Le conseguenze sui ragazzi
A farne le spese sono i giovani calciatori. Il campo di calcio, che dovrebbe essere un luogo di divertimento e crescita, si trasforma in una fonte di ansia. «Alcuni ragazzi arrivano a piangere prima delle partite, perché temono di deludere i genitori più che di perdere la partita», raccontano gli allenatori delle scuole calcio. In troppi casi, la pressione diventa insostenibile e i bambini decidono di abbandonare lo sport.
Cosa si può fare…anche nel calcio
Per arginare il problema, molte società stanno adottando codici etici e regolamenti di comportamento, con sanzioni per chi insulta arbitri, allenatori o altri genitori. La FIGC ha avviato campagne di sensibilizzazione, mentre alcuni club sperimentano la figura del “tutor degli spalti”: un adulto incaricato di monitorare il tifo e richiamare i più agitati. Ma la vera soluzione passa dall’educazione: «Bisogna spiegare ai genitori che lo sport giovanile non è una selezione naturale per futuri campioni, ma un momento di crescita personale – spiega un pedagogista sportivo. Il risultato conta poco, contano molto di più il rispetto, l’impegno e il divertimento. Conta lo stare insieme, il crescere insieme, anche litigare, affrontarsi, ma con rispetto.
Tornare a essere tifosi, non ultras di calcio
Il calcio dei bambini dovrebbe essere una festa, non un campo di battaglia. La sfida più importante non è quella sul terreno di gioco, ma quella sugli spalti: imparare a tifare senza combattere, sostenere senza soffocare, amare senza trasformare ogni partita in una guerra.