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Il caso Almasri ieri ha vissuto una svolta con la Premier Giorgia Meloni che non andrà a giudizio. La stessa tuttavia ha rilasciato delle dichiarazioni a riguardo sui social: “A differenza di qualche mio predecessore, che ha preso le distanze da un suo ministro in situazioni similari, rivendico che questo Governo agisce in modo coeso sotto la mia guida. Ogni scelta, soprattutto così importante, è concordata. È quindi assurdo chiedere che vadano a giudizio Piantedosi, Nordio e Mantovano, e non anche io, prima di loro”. Nel merito, ha proseguito Meloni, “ribadisco la correttezza dell’operato dell’intero Esecutivo, che ha avuto come sola bussola la tutela della sicurezza degli italiani. L’ho detto pubblicamente subito dopo aver avuto notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati. Lo ribadirò in Parlamento, sedendomi accanto a Piantedosi, Nordio e Mantovano al momento del voto sull’autorizzazione a procedere”
Caso Almasri, le motivazioni della Corte
“In base alle informazioni ricevute dal capo dell’Aise, Giovanni Caravelli (sentito come testimone, ndr) la presidente Meloni era sicuramente informata” della vicenda, scrive la Corte. La stessa continua: “Ma quella fornita dal responsabile degli 007 competenti per l’estero resta una informazione generica perché “non compare alcun dettaglio o elemento valutabile circa la portata, natura, entità e finalità dell’informazione, specie sotto il profilo della sua condivisione delle ‘decisioni’ adottate”. Sarebbero proprio questi elementi a scagionare in primis la premier, per la quale non ci sarebbero elementi “dotati di gravità, precisione e concordanza tali da consentire di affermare in che termini e quando la Presidente del Consiglio sia stata preventivamente informata e abbia condiviso la decisione assunta in seno alle riunioni” sul caso Almasri. Tutto ciò pur riconoscendo “l’assunzione di responsabilità politica” fatta da Meloni anche alle sue dichiarazioni in tv. E poca rilevanza ha la nota delle autorità libiche, che contiene un profondo ringraziamento sulla vicenda Almasri, visto che si tratta di una formalità legata al “linguaggio protocollare”
Così termina il testo reso noto dalla Corte