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Crisi del ricambio medico: un sistema sanitario in affanno tra pensionamenti e carenza di giovani specialisti
Mentre il Ministero dell’Università e della Ricerca introduce il “semestre aperto” per Medicina, superando il tradizionale test d’ingresso, il Servizio sanitario nazionale (SSN) affronta una crisi strutturale: il ricambio generazionale dei medici è bloccato, e i dati ufficiali lo confermano.
Per l’anno accademico 2025-2026, secondo il Ministero dell’Università, sono 54.313 gli studenti che hanno scelto Medicina e Chirurgia, a fronte di 24.026 posti disponibili. Un’offerta in crescita, ma che rischia di non tradursi in un rafforzamento del sistema sanitario, se non accompagnata da condizioni di lavoro dignitose. Gli specializzandi, come rileva il Ministero della Salute, ricevono una borsa di studio di appena 960 euro mensili, senza ferie né tutele. In confronto, in Germania e nei Paesi Bassi lo stipendio supera i 3.500 euro, mentre nel Regno Unito può arrivare fino a 9.800 euro mensili.
Una professione che invecchia
Secondo il report della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, i medici iscritti all’albo in Italia sono 413.631. Di questi, solo il 55,3% ha meno di 60 anni, mentre il 17,1% ha superato i 70. La crescita tra gli attivi sotto i 60 anni è stata appena dello 0,87%, contro il +3,99% tra i pensionati. Il dato evidenzia un rallentamento nel ricambio generazionale, con un progressivo invecchiamento della categoria.
Il Servizio sanitario nazionale sotto pressione
Sempre secondo la Federazione, tra il 2021 e il 2025 si stima che 38.263 specialisti lasceranno la professione, riducendo il totale da 116.915 a 78.652. Il picco di pensionamenti è previsto nel 2025, con 13.156 uscite. Il Ministero della Salute conferma che nel 2022 i medici con contratto a tempo indeterminato nelle strutture pubbliche erano 107.167, pari a 1,8 per 1.000 abitanti. Sommando anche i convenzionati e gli universitari, il numero complessivo dei medici specialisti del SSN raggiunge 123.034 unità.
Specialisti e non specialisti: due mondi paralleli
La Federazione distingue tra medici specialisti (208.316) e non specialisti (205.315). I primi operano prevalentemente in ospedali e ambulatori, mentre i secondi lavorano come medici di base, nella guardia medica o nell’emergenza territoriale. Tuttavia, solo 171.173 non specialisti risultano attivi, e appena 64.285 lavorano nel SSN. Il resto opera nel settore privato, dove le condizioni sono spesso più favorevoli.
Medici per abitante: un rapporto in calo
Il rapporto tra medici e popolazione è un altro indicatore della crisi. In Italia ci sono 3,54 specialisti ogni 1.000 abitanti, ma solo 2,07 se si considerano quelli attivi nel SSN. Per i non specialisti, il dato scende a 1,09. Questi numeri, forniti dal Ministero della Salute e dalla Federazione, mostrano una disponibilità insufficiente a garantire una copertura capillare e tempestiva.
Disuguaglianze territoriali e demografiche
La geografia della sanità riflette le disuguaglianze del Paese. Il Nord accoglie il 45,1% dei medici del SSN, il Centro il 21%, il Sud il 21,7% e le Isole appena il 12,2%. L’età media è di 49,9 anni, con le donne più giovani (47,7) rispetto agli uomini (52,3). Ma gli under 30 restano una minoranza assoluta. Le donne rappresentano il 42,3% dei medici di famiglia e il 69,9% dei pediatri di libera scelta.
Un futuro incerto per la medicina pubblica
Il nuovo semestre aperto, come delineato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, promette accesso libero e meritocratico, con esami nazionali identici per tutti. Ma senza un investimento serio sulle condizioni di lavoro, il rischio è che i giovani medici scelgano altre strade. E il SSN, già in affanno, non può permetterselo.
La crisi del ricambio medico non è solo una questione di numeri. È una questione di visione, di equità, di futuro. E riguarda tutti noi.