Il conflitto in Medioriente è giunto al giorno 723. Alla portavoce della Flotilla, Maria Elena Delia, il ministro Crosetto ha avuto modo di ribadire tutte le problematiche sottintese della situazione con i pericoli concreti a cui si andrebbe incontro in caso di prosecuzione. Il dialogo rimane alla base di tutto ed il ministro sottolinea come sarebbe il caso di evitare azioni come queste che possano causare vittime, sopratutto se sono coinvolti degli italiani. Anche Tajani ha sottolineato la pericolosità di una forzatura del blocco navale tuttavia la portavoce della missione non annuncia possibili risvolti o dietrofront. La missione prevede l’approdo alla striscia di Gaza tra 4-7 giorni.
Ma cosa rappresenta realmente la Flotilla?
Negli ultimi tempi il termine flotilla è entrato nel dibattito pubblico soprattutto in riferimento a missioni navali dirette verso zone di conflitto o territori sottoposti a blocco, come nell’ultimo caso ad oggetto la Striscia di Gaza. L’obiettivo dichiarato di queste spedizioni è quasi sempre quello di portare aiuti umanitari e di rompere simbolicamente l’isolamento imposto a determinate popolazioni. Ma la domanda rimane aperta e sempre quella: si tratta davvero di iniziative solidali, oppure di operazioni pensate soprattutto per attirare l’attenzione mediatica? Spesso il tutto dipende da chi partecipa che condiziona irrimediabilmente il giudizio pubblico. Ma analizziamone i vari aspetti…
Esempi storici di flotillas
Negli ultimi decenni diverse flotillas hanno cercato di rompere blocchi o portare aiuti simbolici in zone di conflitto. La più nota è la Gaza Freedom Flotilla del 2010, culminata nell’abbordaggio della nave Mavi Marmara da parte delle forze israeliane e nella morte di nove attivisti, con forti ripercussioni diplomatiche tra Israele e Turchia. Altre spedizioni, come la Estelle nel 2012 o la Freedom Flotilla III del 2015, sono state intercettate senza violenza ma hanno comunque attirato l’attenzione internazionale, pur senza riuscire a consegnare concretamente gli aiuti.
Altri precedenti includono iniziative meno note…
….come le missioni navali di solidarietà durante la guerra in Bosnia negli anni ’90, e operazioni più recenti nel Mediterraneo centrale organizzate da ONG come Sea-Watch o Open Arms, dedicate al soccorso dei migranti. In tutti i casi, l’impatto materiale degli aiuti è stato limitato, ma il valore simbolico e mediatico ha avuto grande peso nel portare le crisi all’attenzione dell’opinione pubblica globale.
L’aspetto umanitario della Flotilla
Dal punto di vista di chi promuove queste iniziative, la flotilla rappresenta una forma di diplomazia che parte dal basso. In assenza di soluzioni politiche rapide, organizzazioni civili e ONG scelgono di mettersi fisicamente in mare per trasportare beni di prima necessità: cibo, medicine, attrezzature mediche e farmaci in genere. In questo senso, l’operazione potrebbe assumere un valore concreto e reale perché si impone di fornire un aiuto immediato, seppure simbolico rispetto alle enormi necessità di intere comunità. Inoltre, la presenza di volontari internazionali e di personalità pubbliche a bordo serve a dare visibilità a crisi spesso dimenticate dall’opinione pubblica. Tuttavia per il caso di Gaza la preoccupazione è il rischio che dietro queste operazioni possano nascondersi interessi privatistici e politici che annienterebbe alla base lo scopo altamente filantropo.
Il lato mediatico e politico delle flotillas
Tuttavia, non si può ignorare la dimensione comunicativa. Le flotillas sono quasi sempre seguite da giornalisti e fotografi, con immagini che rimbalzano rapidamente sui social e nelle testate internazionali. Questo porta alcuni osservatori a considerarle più una forma di pressione politica e mediatica che un reale canale di aiuto. Non di rado, infatti, il valore simbolico della missione supera di gran lunga l’effettiva portata degli aiuti trasportati. In alcuni casi, gli stati coinvolti reagiscono duramente, trasformando la spedizione in un caso diplomatico che catalizza ancora più attenzione. Nel caso di Gaza, tuttavia, il rischio di una degenerazione degli eventi con coinvolgimenti diplomatici di più Paesi è alto, soprattutto in questi determinato contesto e periodo stoico
…come si incontrano pragmatismo ed idealismo?
La verità, probabilmente, come quasi sempre accade si colloca a metà strada. Da un lato, chi partecipa lo fa con autentiche motivazioni umanitarie, rischiando spesso la propria sicurezza per sostenere popolazioni sotto assedio o in difficoltà. Dall’altro, l’impatto materiale è minimo, mentre l’efficacia principale è simbolica e comunicativa: attirare riflettori, denunciare situazioni di crisi, costringere governi e opinioni pubbliche a prendere posizione. La questione è : può uno scopo comunicativo e simbolico, a fronte di un impatto umanitario minimo, mettere a rischio così tante vite ed equilibri diplomatici così flebili e fragili ?
Conclusione sull’operazione “Flotilla”
L’operazione “flotilla” si colloca quindi in un territorio ambiguo, irrimediabilmente sospeso tra chi predilige l’aspetto solidale e chi invece propende verso il solo fine strategico comunicativo dell’iniziativa. Non si può, però, liquidarle a mere “operazioni pubblicitarie”, perché senza dubbio nascono da un verosimile spirito di impegno civile. Ma non si può nemmeno idealizzarle come panacea unica ai problemi umanitari: è evidente che il loro peso sia soprattutto politico e mediatico. Alla fine, in ogni caso, la domanda non è se siano umanitarie o pubblicitarie, ma se, in un mondo satollo di conflitti dimenticati, sia realmente così necessaria, in un conflitto come questo, dove un solo granello di sabbia potrebbe accecare definitivamente, una goccia di acqua scatenare tsunami, una piccola fiammella far divampare incendi…più che manovre simboliche forse oggi avremmo bisogno di equilibrio, saggezza, diplomazia…umanità vera e meno simbolica.
