 
                Fonte foto: Wikipedia
Franceschini rilancia il campo largo: “Serve unità, flessibilità e coraggio per battere Meloni”
Dario Franceschini, figura storica del Partito Democratico e tra i protagonisti della politica italiana degli ultimi decenni, è tornato sotto i riflettori con un’intervista a La Repubblica che ha fatto rumore. Dopo essere salito sul palco della festa nazionale dell’Unità a Reggio Emilia accanto a Giuseppe Conte, Franceschini ha lanciato un messaggio chiaro: vincere le prossime elezioni politiche non è solo possibile, è “probabile”.
Una dichiarazione che non nasce da ottimismo ingenuo, ma da un’analisi aritmetica e politica. Secondo Franceschini, le forze di opposizione oggi valgono quanto quelle di maggioranza. Il lavoro fatto per costruire una coalizione ampia è stato “ottimo”, e Giorgia Meloni non governerà altri cinque anni “se non sbagliamo”.
L’unità come chiave del successo
Franceschini insiste sulla necessità di superare rancori e divisioni del passato. Cita episodi come la caduta del governo Conte per mano di Renzi, le polemiche del M5S su Bibbiano, e la rottura tra Pd e M5S dopo la fine dell’esecutivo Draghi. Ma guarda avanti: “Si può trovare una sintesi su tutto. L’importante è non ripetere i vecchi errori”.
In caso di modifica della legge elettorale da parte di Meloni, Franceschini propone una soluzione pragmatica: indicare il candidato premier prima del voto, magari attraverso le primarie. E sebbene riconosca che queste possano essere divisive, le considera anche “formative di un campo”.
Schlein, Conte e il nuovo centrosinistra
Franceschini non nasconde il suo apprezzamento per il lavoro di Elly Schlein, segretaria del Pd, che sta cercando di recuperare l’astensionismo a sinistra. Ma sottolinea che il M5S deve mantenere la propria identità all’interno della coalizione. “Non appartengono alla storia dell’Ulivo o del Pd, ma devono essere rispettati”.
Riguardo alla leadership della coalizione, Franceschini osserva che non è più necessario un candidato moderato per vincere. “Il sistema è cambiato. Oggi si vince dando ai propri elettori una ragione per non astenersi”. Cita esempi come Meloni, Trump e Milei, per dimostrare che la mobilitazione identitaria è più efficace della moderazione.
Il ruolo del centro e la sfida della governabilità
Franceschini riconosce che Pd, M5S e Avs insieme valgono circa il 40%, ma per vincere serve anche l’area moderata, oggi frammentata. Non propone un progetto “telecomandato”, ma indica alcune figure civiche e amministrative capaci di parlare a lavoratori autonomi e piccole imprese: Silvia Salis, Alessandro Onorato, Damiano Tommasi.
Il Pd autosufficiente, secondo Franceschini, è un sogno ormai irrealistico. Serve una coalizione ampia, dove ogni soggetto faccia la propria parte. E respinge l’idea che un’alleanza costruita per battere Meloni sia priva di contenuti: “La stabilità di cui si vanta Meloni è in realtà immobilismo. Le riforme sono arenate, su fisco e lavoro non ha portato a casa nulla”.
I rischi per la democrazia
Franceschini non esclude che Meloni possa ambire al Quirinale, cambiando la natura del sistema. E avverte: “Se capiranno che vanno verso la sconfitta, potrebbero diventare pericolosi”. Non teme un assalto in stile Capitol Hill, ma invita alla mobilitazione per difendere lo Stato di diritto.
Infine, denuncia la strumentalizzazione dell’omicidio di Kirk, usata per additare l’opposizione come ispiratrice dell’odio. “Questo vittimismo serve solo a sollevare altro odio”.
Le parole di Franceschini sono un appello alla responsabilità, alla visione strategica e alla costruzione di un’alternativa credibile. Un messaggio che potrebbe segnare l’inizio di una nuova fase per il centrosinistra italiano.

 
             
         
        