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La giustizia ci presenta un caso complicato registratosi a Bologna: lo apprendiamo dalla versione online de Il Corriere della Sera. La Corte costituzionale ha riconosciuto il diritto dei figli delle coppie di donne di vedersi riconosciute entrambi le madri. Tuttavia la Cassazione chiede a una famiglia di Bologna di pagare gli avvocati dello Stato che per anni si sono opposti a quel diritto, nonostante la Consulta li abbia sconfessati.
Giustizia, dopo dieci anni di battaglie pagare per un diritto riconosciuto
Il Corriere della Sera scrive : “Per Dante e la sua famiglia il 2025 è stato un anno importante: dopo un decennio di attese e battaglie sua madre Giulia ha potuto finalmente riconoscerlo. In questo modo Dante ha smesso di essere straniero in patria. Merito della sentenza della Corte costituzionale, che ha legalizzato il riconoscimento dei figli delle coppie di donne. Ma lo stesso Stato che gli ha garantito quel diritto fondamentale, ora chiede a lui e alla sua famiglia 14.000 euro di spese legali. La somma serve per pagare gli avvocati dello Stato che hanno voluto negarglielo. Se sembra un controsenso, è perché lo è.”
Giulia, una delle mamme parla di “intento punitivo”
«A noi pare che ci sia soprattutto un intento punitivo, perché di solito le cause pilota sono esentate dalle spese legali, è un potere dei giudici» dice Giulia. «Invece ci chiedono di pagare gli avvocati che per nove anni si sono opposti alla nostra famiglia con argomenti dichiarati incostituzionali». Dante (il nome è di fantasia) è figlio di una coppia di donne, Giulia Garofalo Geymonat, 47 anni, che è italiana, e Denise Rinehart, 52, che è americana. È nato a Pisa nel 2016 ed è cresciuto a Bologna. Nel nostro Paese non c’era (e non c’è) una legge per il riconoscimento dei figli delle coppie dello stesso sesso. Mentre negli Stati Uniti Dante sarebbe stato figlio di entrambe le donne, in Italia era figlio solo di Denise, che lo ha partorito. E quindi per la legge ha “perso” un genitore — Giulia — che aveva nei fatti. E’ stato privato anche della cittadinanza italiana.
Dante, straniero in patria
Dante è stato per quasi tutta la sua vita uno straniero in patria e Giulia è rimasta fino questa estate una «madre fantasma». Non ha diritti né doveri genitoriali, anche se Dante è nato perché lei e Denise l’hanno voluto mettere al mondo insieme. Per nove lunghi anni Dante ha dovuto rinnovare di volta in volta il permesso di soggiorno per vivere nel suo Paese. Giulia non poteva viaggiare da sola con lui. Quando è finito in ospedale per uno choc anafilattico subito mentre era a scuola, fino all’ultimo non sapeva se i medici l’avrebbero fatta entrare in ospedale per stare accanto a suo figlio. Per lei era una concessione, non un diritto.
L’intervento della legge
In mancanza della legge, le due mamme hanno fatto ricorso ai tribunali, chiedendo che i diritti di loro figlio Dante venissero tutelati. Ne è nata una lunga battaglia giudiziaria, che ha portato a un rinvio in Corte Costituzionale (nel 2018). Poi a una sconfitta a Pisa (2020), a una vittoria alla Corte d’Appello di Firenze (2022). Infine è arrivata una sconfitta «devastante» alla Corte di Cassazione nel gennaio dell’anno scorso. I giudici di Cassazione hanno sancito che Dante non poteva essere riconosciuto come figlio di Giulia, come invece aveva stabilito la Corte d’Appello. La loro sentenza però, poco dopo, nel maggio 2025, è stata sconfessata dalla Corte costituzionale (che ha un rango più alto). Ha dichiarato incostituzionale la procedura a cui la Cassazione voleva costringere Dante e la sua famiglia, ovvero l’adozione in casi particolari. Proprio perché, essendo troppo lunga, costosa e complicata, avrebbe creato delle discriminazioni tra bambini. Il discrimine ci sarebbe stato tra i figli delle coppie eterosessuali, che potevano avere da subito due genitori, e quelli delle coppie di donne, che dovevano aspettare mesi se non anni, rimanendo in un limbo pericoloso.
L’amaro colpo di scena
Le due donne hanno ricevuto dalla Corte di Cassazione e dall’Avvocatura dello Stato una fattura di 14.000 euro per le spese legali degli avvocati dello Stato. «Abbiamo scoperto che non c’è modo di contestare questo pagamento, che sembra una tattica deliberata per dissuadere altri dal difendere i propri diritti. La legge prevede che la parte che perde nel processo debba rimborsare le spese legali di chi vince, ma i giudici possono decidere di esonerare i casi che coinvolgono diritti fondamentali. Costringerci a pagare gli avvocati che hanno difeso una posizione incostituzionale è profondamente ingiusto». Per le due donne è una spesa pesante da affrontare (per coprirla hanno organizzato una raccolta di fondi su GoFundMe, che è arrivata al momento a circa seimila euro). Ma oltre alla cifra ingente pesa l’umiliazione insita nella richiesta e il fatto che contraddica la conclusione a cui è arrivata la massima Corte della Repubblica, quella costituzionale. «È — dice Giulia — il prezzo dell’ingiustizia».
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