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Amazon e Meta investono miliardi in automazione, mentre migliaia di lavoratori vengono tagliati fuori. Il futuro è già qui, ma non per tutti.
C’è un rumore che si sente sempre più spesso nei magazzini delle grandi aziende: non è il chiacchiericcio dei colleghi, né il suono delle ruote dei carrelli. È il ronzio dei robot. Silenziosi, instancabili, precisi. E soprattutto: senza stipendio, senza ferie, senza diritti.
Amazon lo sa bene. Nei suoi centri logistici, i robot Kiva si muovono come formiche impazzite, trasportano scaffali, leggono codici, ottimizzano tempi. E intanto, centinaia di lavoratori vengono accompagnati alla porta. Non per demerito, ma perché una macchina fa il loro lavoro in meno tempo e senza lamentarsi.
Amazon: 600.000 posti di lavoro in bilico
Secondo fonti internazionali, Amazon starebbe pianificando di sostituire fino a 600.000 dipendenti con sistemi automatizzati entro il 2033. Non si parla solo di licenziamenti, ma di posti evitati: già entro il 2027, l’azienda punta a non assumere 160.000 persone grazie all’automazione.
Tradotto: più robot, meno umani. E mentre l’azienda raddoppia le vendite, chi lavora nei magazzini rischia di essere tagliato fuori, senza un piano di reinserimento né una vera alternativa.
“Non è niente di personale, è solo automazione”
La frase non l’ha detta un dirigente, ma potrebbe. Perché il messaggio è chiaro: sei stato utile, ora non servi più. E non importa se hai famiglia, mutuo, o se hai fatto notti intere a smistare pacchi. Il robot non si stanca. Tu sì.
E così, mentre le aziende festeggiano l’efficienza, i lavoratori sostituiti dai robot diventano numeri. Esuberi. Codici da cancellare. E nessuno si prende la briga di spiegare come reinserirli, formarli, accompagnarli in un nuovo percorso. Troppo complicato. Troppo umano.
Meta: licenzia chi costruisce l’intelligenza artificiale
Anche Meta non scherza. Ha appena licenziato 600 dipendenti dalle sue divisioni AI, compresi ricercatori e ingegneri del prestigioso team FAIR. Il paradosso? Taglia chi costruisce l’intelligenza artificiale, per investire in laboratori che puntano alla superintelligenza.
Meta ha speso oltre 14 miliardi di dollari in progetti AI, ma ha deciso che il capitale umano è sacrificabile. Il messaggio è chiaro: l’AI non è solo uno strumento, è un sostituto. E anche chi la progetta può diventare superfluo.
Ma è davvero progresso?
Certo, l’innovazione non si ferma. E nessuno vuole tornare all’età della pietra. Ma qui non si tratta di nostalgia: si tratta di giustizia sociale. Perché se il progresso serve solo a tagliare teste (umane), allora qualcosa non torna.
Chi decide quali lavori devono sparire? Chi stabilisce che un algoritmo vale più di un’esperienza? E soprattutto: chi si prende cura di chi resta fuori?
Soluzioni? Sì, ma servono ora
Non è una battaglia contro la tecnologia. È una richiesta di responsabilità. Le aziende devono prevedere piani di transizione, corsi di formazione, incentivi per chi assume persone in carne e ossa. E lo Stato? Deve fare la sua parte. Con leggi, controlli, e soprattutto: ascolto.
Perché dietro ogni badge disattivato c’è una storia. E dietro ogni robot che entra in azienda, dovrebbe esserci un piano per non lasciare nessuno indietro.
La denuncia non basta. Serve una sveglia collettiva
Parlare di robot in azienda non è più fantascienza. Purtroppo è realtà nuda e cruda. E a volte sembra davvero di stare nelle serie TV americane Black Mirror o Westworld il primo esplora il lato oscuro e spesso inquietante della tecnologia e come può influenzare la società e le relazioni umane, offrendo una prospettiva critica e pessimistica; il secondo affronta temi complessi come l’intelligenza artificiale, la coscienza, la libertà e l’etica, con un forte elemento narrativo e una trama più continua.
Ma qui non c’è nessuna sceneggiatura. Nessun copione. Solo vite vere che rischiano di essere riscritte da una tecnologia che corre troppo in fretta e troppo lontano dalle persone.
Se non la raccontiamo, se non la denunciamo, rischiamo di svegliarci in un mondo dove il lavoro umano è un ricordo. E non sarà un bel ricordo.