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Una questione attuale

C’è un treno che non ha mai fischiato la sua corsa d’inizio, di conseguenza non ha mai raggiunto un traguardo. Un treno che non corre sui binari, non si muove sulle rotaie, ma lungo il filo conduttore della memoria del Sud. Il Sud, una terra che fu culla di civiltà, arte, filosofia e scienza, oggi spettatrice impotente di un’Italia che corre senza quasi voltarsi. Quel treno è un treno metaforico e ha un nome che suona come condanna: la Questione meridionale.
Un’Italia che corre
“La Questione meridionale”: un’espressione fredda, nata nel 1873 dall’onorevole Antonio Billia per descrivere il divario economico tra Nord e Sud. Ma chiamiamola col suo vero nome: ferita aperta, orchestrata dall’incuria, dalle promesse mancate e dalle infrastrutture negate. Un Sud che attende da un secolo e mezzo, inghiottito da un vortice di ritardi. Sanità allo sfascio, ospedali che faticano a garantire cure essenziali, strade principali come la 106 ionica, strette e pericolose, risalenti ai tempi del fascismo, treni mal funzionanti o soppressi del tutto, soprattutto lungo la costa ionica tra Reggio Calabria e Bari. Fabbriche inesistenti, mancanza di industrie, prospettive quasi nulle per i giovani, disoccupazione galoppante. Potrei continuare per pagine. Queste terre che hanno donato la civiltà, le idee, che hanno plasmato la legge, la politica, l’arte, la filosofia, giacciono intrappolate in un presente immobile. Ogni treno cancellato, ogni strada pericolosa, ogni progetto bloccato racconta una storia di attese infinite e opportunità negate. Eppure, il Sud resiste, sempre. E sogna ancora. Il Sud è figlio della bellezza aspra delle Madonie e dell’Aspromonte, della leggenda di Partenope, della solidità delle Murge, ma porta sulle spalle una maledizione che sa di inganno. E mentre intorno, il mondo corre, innova, plasma il futuro, il Sud osserva, con amaro sorriso e pugno stretto. La Questione meridionale non è fatta solo di numeri: è fatta di storie di individui che resistono, che inventano, che non si arrendono. È fatta di contadini che trasformano terre aride in oro agricolo, di artigiani che mantengono viva la tradizione, di giovani laureati costretti ad emigrare per trovare lavoro.
Il sud esige rispetto
È una sfida culturale e sociale, oltre che economica: il Sud esige rispetto, dignità, riconoscimento. Ma attenzione: quel treno non partirà da solo. Nessun piano infrastrutturale, nessuna promessa elettorale potrà farlo muovere se il Sud non deciderà di prenderlo in mano. È tempo di sfidare chi ha trasformato la nostra terra in colonia interna, di abbattere il muro che ci separa dall’avvenire. È tempo di reclamare orgoglio, dignità e riconoscimento. Non è solo questione di ponti, di strade o di treni. È questione di scelta, di volontà collettiva. Perché i meridionali non sono nati per aspettare. Non sono nati per piegarsi o sopportare. Sono nati per rinascere, per scrollarsi di dosso millenni di ingiustizie e camminare a testa alta sul binario del proprio destino. E allora, quel treno partirà. Non domani, non quando altri lo decideranno: partirà perché il Sud lo vuole. Perché il Sud è pronto a riprendersi ciò che gli appartiene di diritto, tra orgoglio antico, bellezza aspra e voglia di futuro. Quel treno è ancora lì, sui binari della memoria e della speranza. E quando partirà, non sarà solo un viaggio: sarà la corsa di un’intera civiltà verso il futuro che merita.