Una madre camerunense aggredita e minacciata a Pavia: il silenzio che alimenta il razzismo in Italia
Reine Atadieu Djomkam vive in Italia da quasi quindici anni. Arrivata dal Camerun con un sogno semplice – costruire un futuro per sé e per le sue figlie – oggi si ritrova barricata in casa, terrorizzata. Da cinque anni subisce insulti, minacce e aggressioni da parte del vicino di casa. Non si tratta di un conflitto condominiale, ma di un odio mirato e ossessivo: Reine è nera, è africana, e per questo viene colpita.
Le minacce quotidiane
Il vicino la insulta chiamandola “africana di m*rda”, la minaccia di morte e arriva persino ad aggredire la figlia maggiore mentre andava a scuola. “Ti scanno come un maiale, sei nel mio Paese”, avrebbe urlato l’uomo, mentre la bambina implorava di non fare del male alla madre. Scene da incubo che si consumano nel silenzio di un condominio di Pavia, dove la quotidianità di una famiglia è stata trasformata in un incubo senza fine.
Denunce ignorate dalle istituzioni
Reine ha denunciato più volte insulti, biglietti offensivi e aggressioni. La risposta più frequente ricevuta è stata: “Abbia pazienza, esca il meno possibile”. Le forze dell’ordine, pur intervenendo, le hanno consigliato di evitare l’uomo, come se fosse lei a dover cambiare vita. Intanto, le figlie non possono andare al parco, hanno paura delle scale e persino della porta di casa. La paura è diventata un’abitudine, un muro invisibile che separa questa famiglia dal resto del mondo.
Il silenzio che alimenta il razzismo
Il problema non è solo l’aggressore, ma un Paese che permette tutto questo, che nega l’evidenza del razzismo e minimizza l’orrore. Negare significa esserne complici, voltarsi dall’altra parte mentre qualcuno viene picchiato e umiliato perché africano. In Italia, troppo spesso, la violenza razzista viene ridotta a “tensioni di vicinato” o a “banali incomprensioni”, cancellando la matrice discriminatoria che invece è evidente.
Una fuga forzata
Dopo anni di incubi, Aler ha mostrato a Reine un alloggio alternativo. Ma non doveva essere lei ad andarsene. Non dovevano essere le figlie a filmare la madre per dimostrare ciò che lo Stato non voleva vedere. La fuga forzata è l’ennesima ingiustizia: chi subisce violenza è costretto a spostarsi, mentre chi la infligge resta impunito.
Un monito per l’Italia
La vicenda di Reine Atadieu Djomkam dovrebbe scuotere il Paese. In Italia si può ancora essere picchiati, minacciati e terrorizzati solo perché si è neri. Il silenzio che avvolge tutto questo è la parte più disumana, perché trasforma la violenza in normalità. Raccontare questa storia significa denunciare il razzismo che si consuma ogni giorno, spesso invisibile, ma che lascia cicatrici profonde e indelebili.
