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Di spesa militare si è parlato al vertice NATO del 24 e 25 Giugno. Questo il documento partorito dal summit: “Gli alleati si impegnano a investire il 5% del Pil annuo nelle esigenze fondamentali di difesa e nelle spese relative alla difesa e alla sicurezza entro il 2035, al fine di garantire gli obblighi individuali e collettivi, in conformità con l’articolo 3 del Trattato di Washington”, la decisione presa alla fine del summit. Dal sito web “Skytg24” apprendiamo cosa comporterà l’aumento di spesa per il nostro Paese.
Spesa militare, la flessibilità
In primis, a quanto leggiamo da Skytg24, varrà la “flessibilità”, cioè un accompagnamento all’aumento al 5% del Pil spalmato su più anni. L’aumento di spesa coprirà un arco temporale di 10 anni. Quindi in Italia si passerebbe dagli attuali 45 miliardi (pari a circa il 2% del Pil) di cui 35 miliardi in difesa e 10 in sicurezza, a 145 miliardi. Stando alle stime dell’Osservatorio sulle spese militari Milex, come scrive Il Sole 24 Ore, si tratta di 100 miliardi in più rispetto alla spesa attuale con aumenti annui di 9-10 miliardi. Un impegno ingente, soprattutto se si considera che per raggiungere il 2% è stato necessario conteggiare anche le spese correnti in altri ambiti. Per esempio cyber, spazio, telecomunicazioni, mobilità militare e quelle per altri corpi militari come Guardia Costiera e della Guardia di Finanza.
Giorgia Meloni sull’aumento di spesa
Per raggiungere i nuovi target, sarà sicuramente necessario reperire nuove risorse finanziare. La premier Giorgia Meloni, nelle sue comunicazioni in Parlamento ha spiegato che si potrebbe affrontare la questione proprio in sede europea. “Resta ferma la necessità, a livello europeo, di rendere compatibili le regole del patto di stabilità con l’incremento delle spese di difesa concordate con gli alleati. In particolare, con riferimento alle procedure di deficit eccessivo, riguardo cui è necessario conseguire una parità di trattamento ed evitare rischi di applicazioni asimmetriche”.
Le parole di Giorgetti
Per il ministro dell’Economia Giorgetti, gli aumenti delle spese per la difesa “vengono trattati in modo asimmetrico. Gli Stati membri al di fuori della procedura di infrazione possono utilizzare la flessibilità della clausola nazionale di salvaguardia. Potranno quindi evitare la procedura anche con disavanzi superiori al 3% del Pil”, mentre gli Stati membri già in procedura di infrazione “non possono utilizzare la stessa flessibilità. Potranno uscire dalla procedura se il loro disavanzo è superiore al 3% a causa della spesa per la difesa”. Per questo, chiarisce, “è fondamentale trovare una soluzione per aggiornare queste regole all’emergenza che stiamo vivendo per evitare che sembrino stupide e senza senso”.
Spesa militare, precisazioni
Stando a quanto scrive “Skytg24, va comunque precisato che, nel piano di passare dall’attuale obbligo del 2% del Pil al 5%, la vera spesa militare si fermerebbe al 3,5%, mentre il resto sarebbe per le infrastrutture. Per il nostro Paese, in questo scenario, vorrebbe dire arrivare a circa 78 miliardi, dai 44 attuali. Se si arrivasse al 3,5% la spesa per la difesa lieviterebbe fino ad avvicinarsi ad altri tipi di settori, come, ad esempio, l’Istruzione, per cui l’Italia spende circa 88 miliardi all’anno. Certo, rientrano nelle voci di spesa anche strumentazioni e componenti strettamente militari. Tra questi, carri armati e missili, equipaggiamenti e munizioni, ma ci sono anche investimenti in sicurezza allargata. Fanno parte di quest’ultima cyber-difesa, tecnologie a doppio uso civile e militare, resilienza della società contro attacchi ibridi. Nel calcolo rientrano poi gli stipendi e le pensioni del personale militare, la ricerca e lo sviluppo nel settore difesa, le operazioni di peacekeeping e anche alcune spese della Guardia Costiera e della Protezione Civile.