Roberto Vannacci, che negli ultimi anni è passato dal silenzio degli uffici militari alla piazza digitale più rumorosa del Paese, è tornato a spiegare perché continua a mettere le mani dentro uno dei cassetti più infiammabili della storia italiana. Il fascismo, come quasi a voler sottolineare quel suo modo ai confini della polemica e dell’ambiguità cronica che da sempre contraddistingue il suo ingresso in politica. Il suo nuovo post su Facebook, dove offre “ripetizioni” a chi avrebbe studiato solo “nei manuali del Pd”, non nasce dal gusto della provocazione, almeno secondo lui.
L’idea di Vannacci semplice e testarda: il passato non è una fotografia da guardare in piedi, ma un archivio da sfogliare per intero
Nelle sue parole si sente la convinzione di chi ritiene che la storia vada ricostruita passo per passo, senza saltare gli eventi che non piacciono e senza trasformare tutto in slogan. Per questo insiste sulla “cronologia” e sulle “fonti”, quasi fosse un contabile della memoria più che un politico alla ricerca di applausi. Il generale sostiene che alcune verità siano scomode a causa di anni di letture filtrate, e che riportarle non significhi giustificarle, ma comprenderle meglio. Il suo racconto sul fascismo sembra quasi voler ripulire un periodo storico italiano importante, da anni di pratiche di filtraggio operate dalla politica e dai vari avvicendamenti.
È da qui che nasce il tono da professore fuori orario di Vannacci
Non pretende di riscrivere i libri di scuola, almeno nelle sue intenzioni dichiarate, anche se in realtà proprio quello sembra l’obiettivo sottinteso e neanche molto celato. Piuttosto vuole mostrare ciò che lui considera le zone d’ombra della narrazione dominante, convinto che un Paese solido debba saper guardare anche le sue pagine più storte senza frullarle nel rumore politico. Tuttavia il rischio che si corre è sempre lo stesso, ossia gettare un pericoloso sasso in un mare già procelloso ed ingannevole, pieno di rischi ed insidie, di cui forse oggi proprio non se ne sente il bisogno.
Le reazioni di Pd e Avs, che parlano di “revisionismo”
A sinistra si ricorda che il fascismo fu una dittatura. Queste dichiarazioni ovviamente non sembrano sorprendere il generale Vannacci, anzi, le interpreta come la prova che il confronto sul passato è ancora legato più allo scontro che alla ricerca. E così rilancia con una frase che sa di sfida: se le polemiche continueranno, scriverà un libro intitolato “La storia al contrario”, come se volesse capovolgere il tavolo per mostrarne le gambe.
Vannacci, piaccia o meno, sta giocando una partita tutta sua
Il suo obiettivo, ormai sempre più chiaro è mettere il passato sul banco, aprire il registro e dire “guardate tutto, non solo quello che conviene”. Una scelta che divide, ma che spiega bene perché continui a indossare, almeno online, la sua uniforme da insegnante improvvisato. Un altro obiettivo, però, altrettanto evidente, è porre una trappola nel fragile mondo della politica italiana, una trappola in cui sembrano cadere costantemente media e politici di sinistra. La trappola è evidente ed è quella di provocare lo scontro verbale regalando al generale un ruolo ed uno spazio tutto suo che altrimenti non avrebbe nel trasversale panorama politico nostrano.
Conclusioni
Intanto il mondo politico italiano resta lì, bloccato come sempre, ignaro delle vere esigenze del Paese, un Paese senza alternative ed idee concrete, vicine ai diritti ed alle esigenze del cittadino. Una classe in subbuglio totale che risponde e chiede ordine, ma non sa dare risposte, sostegno, vicinanza. Tutti in attesa, quindi, della prossima puntata, noiosa, ripetitiva, sorda. In mezzo ancora una volta, quindi, l’ennesimo dibattito italiano sul passato che tornerebbe a bussare, chiedendo attenzione proprio quando, in realtà, il presente chiede sempre più spazio ed il futuro si avvicina sempre più timido e con tante domande senza risposta.
Il triste quadro politico evidenziato da Vannacci
Quando non si ha idea di cosa fare e proporre, evidentemente, si cerca il nemico storico da combattere, un nemico che è già stato combattuto, un nemico invisibile ma che molti, evidentemente, vogliono vedere ancora per sentirsi ancora vivi. Quando i vecchi valori democratici per cui i nostri nonni hanno combattuto e sono morti non esistono più, il passato ritorna a riecheggiare non tanto nei cuori dei nostalgici, piuttosto negli armadi colmi di scheletri di chi nel tempo non ha saputo più costruire, con studio e lavoro, il proprio percorso, prima di tutto culturale, poi politico e sociale.
