
Dal lutto per l’autista del Pistoia Basket agli scontri tra tifosi a Pisa: la violenza nello sport continua a trasformare la passione in tragedia.
La violenza nello sport non è più un’eccezione: è diventata una drammatica costante che attraversa ogni disciplina, dal calcio al basket, contaminando l’essenza stessa della competizione. Dove dovrebbero regnare passione, rispetto e spirito di squadra, si insinua invece l’odio, la vendetta, la brutalità. E non si tratta solo di scontri verbali o tensioni sugli spalti: sempre più spesso, le cronache ci restituiscono immagini di sangue, di vite spezzate, di comunità ferite.
L’agguato al bus del Pistoia Basket: una morte assurda
L’ultimo episodio che ha scosso l’Italia sportiva è l’agguato al bus dei tifosi del Pistoia Basket, avvenuto il 19 ottobre 2025 lungo la superstrada Rieti-Terni. Dopo la partita di Serie A2 contro la Sebastiani Rieti, un gruppo di sedicenti tifosi ha assalito il pullman con una sassaiola di sassi e mattoni. Il secondo autista, Raffaele Marianella, 65 anni, è stato colpito al volto da un mattone ed è morto sul colpo. Un gesto vigliacco, insensato, che ha trasformato una trasferta sportiva in una scena di guerra. La città di Pistoia è piombata nel lutto, sospendendo allenamenti e attività giovanili, mentre le indagini hanno portato al fermo di tre ultras, già noti alle forze dell’ordine.
Pisa-Verona: il calcio come pretesto per la guerriglia
Solo pochi giorni prima, un altro episodio di violenza aveva macchiato il calcio italiano. A Pisa, in occasione della partita tra Pisa e Verona, si sono verificati scontri tra tifoserie armate di bastoni, caschi e fumogeni. Due persone sono finite in ospedale, mentre la città ha vissuto ore di tensione e paura. Ancora una volta, il calcio si è trasformato in pretesto per la guerriglia urbana, con le forze dell’ordine costrette a intervenire per contenere l’escalation.
Un fenomeno trasversale e radicato
Questi episodi non sono isolati. Ogni settimana, in Italia e nel mondo, si registrano aggressioni, minacce, vandalismi legati al tifo sportivo. Non importa la disciplina: basket, calcio, rugby, persino sport considerati “minori” sono teatro di violenze che nulla hanno a che vedere con lo spirito agonistico. Il fenomeno è trasversale, radicato, alimentato da dinamiche sociali, culturali e identitarie che meritano una riflessione profonda.
Cultura del nemico e responsabilità collettiva
Cosa spinge un individuo a trasformarsi in teppista sotto le insegne di una squadra? Perché il senso di appartenenza si tramuta in odio verso l’altro? La risposta non è semplice. In parte, si tratta di una degenerazione del concetto di “tifo”, che da espressione di passione si trasforma in strumento di affermazione violenta. In parte, è il frutto di una cultura che esalta il conflitto, la sopraffazione, la logica del nemico. E in parte, è responsabilità delle istituzioni sportive e civili, che troppo spesso minimizzano, tollerano, o non riescono a prevenire.
Serve una risposta culturale e sistemica
La violenza nello sport non è solo un problema di ordine pubblico: è una ferita aperta nel tessuto sociale. Colpisce le famiglie, i giovani, gli operatori, i semplici appassionati. Distrugge la fiducia, allontana il pubblico sano, svuota gli stadi e i palazzetti. E soprattutto, uccide. Come nel caso di Raffaele Marianella, vittima innocente di una barbarie che non dovrebbe avere cittadinanza in nessun contesto, tantomeno in quello sportivo.
Serve una risposta forte, coordinata, culturale. Serve educazione, prevenzione, sanzioni esemplari. Serve che le società sportive si assumano la responsabilità di ciò che accade dentro e fuori dai campi. Serve che i media raccontino questi episodi con rigore, senza spettacolarizzazioni. E serve che ognuno di noi, come cittadino e come tifoso, rifiuti la logica dell’odio e scelga quella del rispetto.
Difendiamo lo sport dalla violenza
Lo sport è competizione, sì. Ma è anche incontro, crescita, bellezza. Difendiamolo dalla violenza. Perché ogni volta che un gesto brutale macchia una partita, non è solo lo sport a perdere: è tutta la società.