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Stefano Benni ha raccontato l’Italia con ironia, poesia e ribellione
Il 9 settembre 2025 si è spento a Bologna, all’età di 78 anni, Stefano Benni, una delle voci più originali e amate della letteratura italiana contemporanea. Scrittore, umorista, giornalista e drammaturgo, Benni ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama culturale del nostro Paese, conquistando generazioni di lettori con il suo stile ironico, surreale e profondamente umano.
Da alcuni anni si era ritirato a vita privata, segnato da una lunga malattia che lo aveva allontanato dalla scena pubblica. La sua scomparsa ha suscitato commozione e cordoglio in tutto il mondo letterario, dove il nome di Stefano Benni è sinonimo di libertà creativa, satira pungente e fantasia senza confini.
Un autore poliedrico
Nato a Bologna nel 1947, Stefano Benni ha esordito nel mondo della narrativa nel 1976 con Bar Sport, una raccolta di racconti ambientata in un bar di provincia, che ha subito conquistato il pubblico per la sua comicità grottesca e il ritratto vivido dell’Italia quotidiana. Da quel momento, la sua carriera è stata un susseguirsi di successi editoriali: La compagnia dei celestini, Terra!, Elianto, Margherita Dolcevita, Saltatempo, solo per citarne alcuni.
I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue, segno di un talento capace di parlare a lettori di ogni cultura. Eppure, tra tutte le sue opere, Stefano Benni dichiarava che la sua preferita era Blues in sedici, un piccolo gioiello letterario che unisce poesia e musica, due passioni che hanno sempre accompagnato la sua scrittura.
L’ironia come strumento di verità
La cifra stilistica di Stefano Benni è sempre stata l’ironia, usata non per deridere, ma per svelare le contraddizioni della società. Con il suo linguaggio inventivo, ricco di neologismi e giochi di parole, ha saputo raccontare l’Italia in trasformazione, mettendo in luce vizi, virtù e paradossi con uno sguardo critico ma mai cinico.
Benni ha collaborato con importanti testate giornalistiche come L’Espresso, Panorama, Linus, La Repubblica e Il Manifesto, firmando articoli e saggi che mescolavano satira e riflessione. Anche il teatro ha rappresentato una parte fondamentale della sua produzione: nel 2012 ha debuttato come regista con Le Beatrici, presentato al Festival di Spoleto, seguito da Il poeta e Mary, un intreccio di musica e parole sul valore sociale dell’arte.
Un “Lupo” solitario e ribelle
Il soprannome “Lupo”, che Stefano Benni ha coltivato con affetto e ironia, racconta molto del suo spirito libero e anticonformista. Cresciuto tra Bologna e i paesaggi dell’Appennino, ha sempre difeso la propria privacy, dichiarando che molte parti della sua biografia erano inventate “per proteggere la mia intimità”. Eppure, attraverso i suoi personaggi e le sue storie, ha condiviso con il pubblico una visione del mondo poetica, ribelle e profondamente empatica.
Benni non ha mai voluto essere prevedibile. Ha rifiutato di riscrivere sé stesso, sperimentando generi e linguaggi diversi, dalla narrativa per ragazzi alla poesia, dalla sceneggiatura al teatro sociale. Ha collaborato con artisti come Dario Fo, Franca Rame e persino Nick Cave, dimostrando una versatilità rara e una curiosità instancabile.
L’eredità di Stefano Benni
La morte di Stefano Benni segna la fine di un’epoca per la letteratura italiana. Ma la sua voce continuerà a risuonare nelle pagine dei suoi libri, nei dialoghi surreali, nei personaggi strampalati e nelle battute che fanno riflettere. Il figlio, annunciando la sua scomparsa, ha invitato i lettori a ricordarlo leggendo ad alta voce le sue opere, un gesto che Benni avrebbe sicuramente apprezzato.
In un’intervista, lo scrittore disse: “Quando non ci sarò più, saranno i lettori a trovare il filo della mia narrazione”. E così sarà. Perché Stefano Benni non è stato solo un autore, ma un compagno di viaggio, un osservatore acuto e un narratore che ha saputo trasformare la realtà in poesia.
