
Fonte immagine: Radio Rossonera
Manuel Akanji l’Inter ce l’aveva nel destino. Lo scrive in un articolo comparso oggi “La Gazzetta dello Sport”. “E non solo perché “avevano provato ad ingaggiarmi già tre anni fa”, ma pure per un ricordo speciale che lega il difensore svizzero al nerazzurro…”
Akanji e la maglia di Christian Vieri
Così il difensore dal ritiro della Svizzera: “La mia prima maglia da calcio è stata quella di Christian Vieri dell’Inter, e anche il fidanzato di mia sorella è un grandissimo tifoso. Ecco perché ho già un legame con il club. Accettare tutto è ancora difficile: ora ci stiamo trasferendo e ci sono un sacco di cose da sistemare, ma sono incredibilmente emozionato. È un po’ diverso dal mio precedente trasferimento, perché ora sono con la nazionale, che è dove ora è concentrata l’attenzione. E non ho nemmeno avuto la possibilità di salutare i miei compagni del City, ma voglio assolutamente farlo e organizzare una cena d’addio, per un arrivederci come si deve”.
Il retroscena sul trasferimento
Sul trasferimento, Akanji svela pure un retroscena: “Lunedì il mio agente mi ha informato che sarebbe potuto succedere qualcosa con l’Inter. È stato un po’ un tira e molla. Così sono arrivato in nazionale come al solito, ho pranzato e poi sono andato a Milano. C’erano altre opzioni: non è stato facile per il mio procuratore, ma io avevo le idee chiare. Volevo continuare a giocare ai massimi livelli europei e con l’Inter ci sono riuscito sicuramente”.
L’addio al Manchester City
Akanji poi rivela pure i motivi dell’addio al Manchester City: “Ero consapevole della concorrenza, c’erano sei difensori centrali. Guardiola ci ha detto apertamente che non sarebbe stato facile e così è stato. Non ho dovuto pensarci due volte per dire sì all’Inter. E il vantaggio lì è che giocano con una difesa a tre. Debutto a San Siro? Ho già visto che esordirò fuori casa, ma non vedo l’ora di giocare la prima a San Siro. È davvero bello poter dimostrare il proprio valore in un nuovo club, in un nuovo paese e in un nuovo campionato”
Così conclude Akanji
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