Sono trascorsi ormai oltre quarantacinque anni dall’assassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia. Quasi mezzo secolo la durata della storia di uno dei delitti più oscuri della nostra Repubblica, storia che oggi torna a farsi viva, riaprendo ferite, scoprendo scenari inattesi che pongono inquietanti ombre sulla ricostruzione dei fatti operata illo tempore. Una storia che torna a far parlare di sé, dal un sapore amaro, il sapore del depistaggio istituzionale.
Ecco le novità sul caso Piersanti Mattarella
Nelle scorse ore la Direzione Investigativa Antimafia ha notificato una misura di arresti domiciliari nei confronti di Filippo Piritore, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo ed ex prefetto. L’accusa della Procura di Palermo è pesante: avrebbe mentito e contribuito a sviare le indagini sull’omicidio avvenuto il 6 gennaio 1980, fornendo una versione falsa sulla sorte di un reperto chiave, un guanto di pelle marrone trovato nella Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. Un fatto che, se confermato, riaprirebbe il caso aprendo ad ipotesi allarmanti sulla già minata credibilità delle Istituzioni.
L’importanza del guanto nel caso Piersanti Mattarella
Secondo i magistrati della Direzione Distrettuale Antimafia, quel guanto, mai repertato né ritrovato, rappresentava un potenziale punto di svolta. Un oggetto che avrebbe potuto parlare, raccontare chi era presente su quella vettura, restituire un volto a una delle pagine più oscure della storia siciliana. E invece, è scomparso nel nulla. Se confermato sarebbe l’ennesimo episodio di tal genere (vedi la famosa agenda rossa di Borsellino). L’ennesimo elemento scomparso che darebbe luogo a dubbi, domande che si spera almeno una volta possano trovare risposte e reazioni adeguate.
L’agenda rossa di Borsellino: un parallelismo inquietante
L’agenda rossa di Borsellino era un’agenda personale del magistrato assassinato dalla mafia, scomparsa immediatamente dopo la strage di Via Amelio, Conteneva appunti ed informazioni provenienti da collaboratori di giustizia, ed è per tali motivi considerata fondamentale per le indagini su chi ha commissionato le stragi. Il ritrovamento della borsa senza al suo interno l’agenda è ancora al centro di un caso giudiziario che coinvolge il carabiniere Giovanni Arcangioli, il quale venne fotografato mentre si allontanava dal luogo della strage con la borsa di Borsellino.
Un reperto scomodo dunque…
Il racconto di Piritore, oggi sotto accusa, ha aperto un nuovo capitolo nell’inchiesta. Davanti ai pm, l’ex funzionario ha dichiarato di aver consegnato il guanto a un agente della Scientifica affinché lo trasmettesse al magistrato Pietro Grasso, allora titolare delle indagini. Ma per la Procura questa versione non regge. Non esiste alcun verbale, nessuna ricevuta, nessun documento che attesti la consegna. E il reperto, definito “importantissimo” dagli investigatori, non è mai più stato visto. Gli inquirenti parlano apertamente di indagini “inquinate e compromesse” da pezzi delle istituzioni, convinti che la sparizione del guanto non sia frutto di negligenza, ma di una precisa volontà di impedire l’identificazione dei responsabili.
Le ombre dentro lo Stato
Non è la prima volta che l’omicidio di Piersanti Mattarella si scontra con muri di silenzio e reticenze. L’allora presidente della Regione aveva avviato un percorso di rinnovamento politico, cercando di liberare la Sicilia dalle collusioni tra mafia e potere. Quella scelta di legalità gli costò la vita. Ma, come spesso accade, la verità giudiziaria non ha mai colmato del tutto la verità storica. La nuova inchiesta sul depistaggio riapre così vecchi interrogativi, punti di domanda che da decenni accecano chi vuol vedere nello Stato un punto di riferimento costante a tutela della legalità.
Quanto lo Stato ha realmente voluto sapere della morte di Piersanti Mattarella?
Perché, se è vero che la mafia ha premuto il grilletto contro Piersanti Mattarella, è altrettanto vero che la mano della connivenza istituzionale può aver contribuito a cancellare le prove. Il “guanto scomparso” diventa oggi più di un semplice oggetto d’indagine. È un simbolo della memoria negata, del dolore di una famiglia che ha sempre chiesto verità, e di un Paese che continua a fare i conti con i propri silenzi.
A distanza di oltre quattro decenni, l’Italia si trova ancora davanti a un guanto che manca
Riaprire le carte di quell’omicidio non significa solo cercare giustizia per un delitto del passato, ma anche guardare in faccia le zone d’ombra della nostra storia repubblicana, dove le deviazioni di apparati infedeli hanno spesso protetto i colpevoli anziché le vittime. Un guanto che, se potesse parlare, forse racconterebbe chi davvero non ha mai voluto che la verità su Piersanti Mattarella venisse alla luce. Un guanto che per una volta non servirebbe a coprire e nascondere la “mano” di chi ha voluto questo omicidio ma permetterebbe di scoprire i lati oscuri di un meccanismo che per troppe volte ha determinato la crisi fiduciaria fra popolo ed Istituzioni, fra voglia di giustizia e principio di affidamento.
