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Una riforma costituzionale approvata senza confronto parlamentare riaccende il dibattito sulla giustizia: tra principi condivisi e metodi discutibili, il rischio è perdere il senso profondo della politica.
Nel cuore dell’ultimo anno di legislatura, il Parlamento ha approvato la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Un passaggio storico, almeno sulla carta, che tuttavia solleva più interrogativi che certezze. Matteo Renzi, intervistato da Claudia Fusani per «L’Altravoce», ha chiarito la posizione di Italia Viva: astensione in aula, non per ambiguità, ma per dissenso sul metodo e sul merito.
Una riforma senza confronto
La separazione delle carriere è da tempo un tema divisivo. Da un lato, chi la sostiene la considera un passo necessario per garantire l’imparzialità della magistratura; dall’altro, c’è chi teme che possa minare l’unitarietà dell’ordine giudiziario e aprire la porta a derive politiche. Renzi, che in passato ne è stato promotore, oggi prende le distanze: “Il principio è giusto, ma questa non è la nostra riforma”. Il motivo? L’assenza di dibattito parlamentare, l’impossibilità di emendare il testo, e la matrice ideologica di una destra che, secondo l’ex premier, ha scritto la norma “senza ascoltare nessuno”.
Giustizia e responsabilità
Il punto centrale non è solo tecnico, ma profondamente politico. In un Paese dove la giustizia è spesso terreno di scontro e strumento di propaganda, una riforma così delicata avrebbe meritato un percorso condiviso, aperto, trasparente. Invece, si è scelta la via breve, quella del colpo di mano. E questo, per Renzi, è inaccettabile: “Non è mai accaduto nella storia repubblicana che si approvasse una riforma costituzionale così importante senza possibilità di emendamento”.
Ma c’è di più. La riflessione si allarga al senso stesso della giustizia. Renzi cita il caso Garlasco e le parole del ministro Nordio, che ha invitato ad “arrendersi”. “Ma se in carcere ci fosse tuo figlio?”, domanda Renzi, con tono che mescola indignazione e umanità. È qui che la questione si fa etica: la giustizia non è solo un sistema, è una responsabilità. E non può essere affrontata con cinismo o superficialità.
Oltre la riforma: i veri nodi
La separazione delle carriere, dunque, non è la panacea. È un tassello, forse necessario, ma insufficiente. I veri nodi sono altri: il giustizialismo volgare, la lentezza dei processi, la carenza di organico, la politicizzazione delle toghe. E soprattutto, la mancanza di una visione riformista che metta al centro il cittadino, non le convenienze di partito.
In questo contesto, l’astensione di Italia Viva assume un significato preciso: non è rinuncia, ma dissenso costruttivo. È il rifiuto di aderire a una narrazione semplificata, che spaccia per rivoluzione ciò che è solo maquillage. È la richiesta di un metodo democratico, di un confronto vero, di una politica che torni a essere luogo di pensiero e non solo di slogan.
Il referendum e la responsabilità politica
La primavera porterà il referendum. Sarà il momento in cui i cittadini potranno esprimersi. Ma perché il voto sia consapevole, serve informazione, dibattito, cultura istituzionale. Serve una politica che non si limiti a dire “più armi” o “più sicurezza”, ma che sappia costruire pace, giustizia, fiducia.
La separazione delle carriere, in fondo, è una metafora del nostro tempo: un bivio tra semplificazione e complessità, tra propaganda e responsabilità. E forse, come suggerisce Renzi, tra il diritto di cambiare e il dovere di capire.
