Record di suicidi in carcere: l’emergenza che il penale e la società odierna continua a ignorare. Ogni giorno che giunge a noi una notizia di un suicidio in carcere la stessa passa quasi in sordina, relegata alle pagine interne: anche quest’anno il numero dei suicidi nelle carceri italiane ha raggiunto livelli record, con istituti sovraffollati ben oltre la capienza regolamentare e una carenza cronica di personale sanitario e di polizia penitenziaria. Il declino del sistema penitenziario italiano raggiunge oggi una velocità quasi inarrestabile, un correre continuo verso il baratro in preda a meccanismi di giustizialismo lasciano il passo alla democratica ed alla giustizia vera.
I suicidi in carcere non fanno notizia…
È una notizia che, a differenza di altre, non produce decreti d’urgenza né conferenze stampa solenni. Eppure riguarda il cuore del diritto penale: la pena e il modo in cui lo Stato la esercita. Il dibattito pubblico ormai è in preda a meccanismi mediatici che si fermano al mo e ti della condanna. Del dopo, di ciò che accade un minuto dopo l’esecuzione della pena non interessa più alla gente ed è in quel momento che riflettori e luci si spengono colpevolmente. Prima c’è la cronaca, poi il processo, infine la sentenza. Dopo, il silenzio. Il carcere resta una zona d’ombra, come se non facesse più parte della giurisdizione ma solo dell’amministrazione.
Cosa si nasconde dietro i suicidi di detenuti …
Il suicidio di una persona detenuta non è un fatto inevitabile, né una tragica fatalità: è spesso l’indice di un sistema che ha trasformato la pena detentiva in una mera custodia afflittiva, priva di prospettiva, di trattamento, di senso. Non vi è quasi più traccia di alcuna finalità rieducativa. Si badi bene nessuno nega che la giustizia debba fare il suo corso, ma non può tutto ciò avere seguito se per prima la macchina Stato calpesta i diritti fondamentali. Senza il rispetto dell’uomo, prima del detenuto, viene di fatto meno il senso stesso del sistema penitenziario impostato su caratteri di democraticità e umanità.
La contraddizione strutturale di base…
Da anni si inaspriscono pene, si riducono benefici, si restringono le misure alternative. Contestualmente, però, si continua a fingere che il carcere possa assorbire tutto: tossicodipendenze, disagio psichico, marginalità sociale, povertà estrema. Ma così non può essere. Oggi chiunque anche per lavoro ha modo di vivere il disagio penitenziario si può rendere conto che le fragilità individuali vengono fagocitate da un sistema sbagliato, che moltiplica ed amplifica le fragilità, di certo non le risolve. Inserirvi persone senza concreti ed efficienti strumenti di supporto significa aumentare il rischio di autolesionismo, violenza, recidiva. Ma questa consapevolezza fatica a tradursi in scelte politiche.
L’incostituzionalità di base della pena che determina il fenomeno suicidi
L’articolo 27 della Costituzione parla chiaro: la pena deve tendere alla rieducazione. Un sistema in cui una persona si toglie la vita in cella non è solo inefficiente: costituisce il fallimento della Costituzione. La pena deve equa e giusta, determinata e certa, nel rispetto di una giustizia pronta ed efficiente, capace di curare ma anche prevenire tutelando il prossimo ed ogni cittadino. Ma ciò non può prescindere dal rispettare la dignità dei detenuti come obbligo giuridico oltre che morale.
Nessuno tocchi Caino
Il carcere non è un mondo separato. È l’ultima pagina della sentenza. E quando quella pagina è scritta con l’abbandono, non è solo il detenuto a perdere la vita: è lo Stato di diritto a perdere credibilità. Caino deve andare in carcere e pagare la giusta pena ma lo Stato non può concentrare le proprie forze solo sulla repressione. Uno Stato democratico per essere tale deve contribuire a creare una società sana e produttiva, prevenire condotte delittuose, proteggere i cittadini, ma garantire percorsi reali e concreti per dare a chi sbaglia la possibilità di riscattarsi. Allo stesso tempo predisporre più strutture che possano ospitare dignitosamente chi ha sbagliato, nel rispetto dei diritti umani costituzionalmente garantiti.
