
Trump in questi giorni sembra voler fare di tutto per mettere in atto il suo “America first”. Federico Fubini su “Il Corriere della Sera” fa un’interessante analisi sui motivi per cui il presidente in questi giorni minaccia di voler alzare i dazi sui prodotti europei al 50%. Una misura che andrebbe a penalizzare in primis gli americani stessi.
Trump e i dazi sui prodotti europei
Il presidente ha espulso decine di migliaia di stranieri da Harvard e poi «raccomandato» un aumento dei dazi su 600 miliardi di dollari di prodotti europei, fino a livelli superiori di venti volte rispetto a tre mesi fa. Poche ore prima lo stesso tycoon invece era riuscito a far passare alla Camera dei rappresentanti un taglio delle tasse in gran parte a favore dei più ricchi che aggiunge cinquemila miliardi di debito per gli Stati Uniti. Poi però tassa le rimesse degli immigrati e stabilisce un prelievo supplementare fino al 20% sui guadagni sugli investimenti effettuati in azioni o obbligazioni americane da parte di risparmiatori che vivono all’estero. Italiani inclusi.
Trump e il calo del dollaro
L’agenda del presidente è molto densa di impegni. Questo consente di non far capire a cosa si debba esattamente ciò che è sotto gli occhi di tutti: il dollaro sta cadendo nel modo più rapido dai giorni della tempesta del «Liberation Day». Nella settimana ha perso quasi il due per cento sulle principali monete del sistema internazionale. Grandi masse di denaro stanno tornando a spostarsi lontano dall’America. Che tipo di sintomo può essere questo? È ovvio che il principale indiziato sia l’ultimo giro di valzer di Trump sui dazi. Un mese e mezzo fa il presidente aveva sospeso le sue tariffe «reciproche» al 20% contro l’Europa. Le aveva dimezzate in modo da dar tempo fino al 9 di luglio per arrivare a un compromesso. Ieri eravamo appena a metà della tregua, le trattative erano appena abbozzate, quando è arrivato l’annuncio di nuove misure oltre il doppio più punitive di quelle del «Liberation Day». Fra Washington e Bruxelles in queste settimane dev’essere andato in scena un dialogo dell’assurdo. Gli emissari delle due parti devono essersi parlati in lingue diverse di argomenti diversi, illudendosi di parlare delle stesse cose.
I negoziati con l’Europa
Gli europei sono funzionari specializzati, si sono seduti al tavolo disarmati e operano con un software che risale agli anni ‘90. Per loro un negoziato sugli scambi è un processo altamente tecnico, giuridico fino all’ultimo comma, sempre con l’obiettivo di arrivare a un accordo di libero scambio. Gli emissari di Trump sono delegati personali del presidente e per loro il negoziato è una prova di forza. Vogliono smantellare le tasse sul Big Tech come quella in vigore anche in Italia, disinnescare le regole di Bruxelles sul digitale, strappare un impegno dei grandi Paesi europei a tagliare fuori i prodotti cinesi. Non puntano a un accordo di libero scambio, ma un passo indietro politico dell’Europa.
Date le premesse, inevitabile il negoziato si arenasse. Ma è il dollaro, sorprendentemente, a comportarsi in maniera anomala. Perché in questi casi a perdere terreno dovrebbe essere la moneta del sistema che si trova penalizzato dai dazi. Invece ieri l’euro si è impennato sul biglietto verde.
L’enorme deficit USA
In giugno e luglio il presidente deve far passare al Senato il suo pacchetto di tagli alle tasse e sa già che non sarà facile. Il provvedimento garantisce che per i prossimi quattro anni gli Stati Uniti viaggeranno con deficit pubblici mai visti nel dopoguerra. Il Tesoro americano deve raccogliere ogni anno duemila miliardi di prestiti in più, quasi la metà del nuovo risparmio che si crea nel mondo. È dunque probabile che Trump abbia annunciato i dazi di ieri solo per poter dire che parte dei soldi verranno da lì. Per ora non sta funzionando, perché le entrate fiscali in più grazie alle tariffe già in vigore si stanno rivelando minime se non inesistenti. A Trump non importa, a lui interessa trovare degli argomenti per convincere i senatori a votare i suoi tagli alle tasse. Ma l’intera operazione rivela in trasparenza la vera vulnerabilità del suo intero progetto politico. Non è certo solo questo presidente ad aver aperto la voragine di bilancio degli Stati Uniti, ma lui ha dato il suo contributo nel 2017-2021 e ora continua a scavare. Il dollaro scende e i rendimenti dei titoli americani continuano a salire in modo anomalo anche loro, perché gli investitori esteri esitano più di prima a comprarli.
Istituzioni umiliate
In luogo della necessaria credibilità, alla Casa Bianca c’è un uomo che non si fa problemi nell’usare la carica per arricchirsi. Trump umilia le istituzioni, sega l’albero della crescita attaccando le migliori università o tagliando drasticamente i fondi in ricerca e sviluppo. Il tycoon continua a minacciare o ad alzare muri sul resto del mondo con totale imprevedibilità. Difficile che alla lunga possa finire molto bene, oltre il muro che già si profila all’orizzonte. E a pagare il prezzo più alto potrebbe essere l’America.
Questa la conclusione dell’analisi di Fubini
3 thoughts on “Trump contro tutto ciò che sia straniero, soprattutto europeo”