
Viviamo nel tempo del nulla travestito da coscienza, dell’indignazione prefabbricata, della rivoluzione a scorrimento verticale. E sì, benvenuti nel 2025, l’anno in cui lo scroll infinito ha sostituito ogni forma di azione concreta. La società dell’edonismo digitale è ormai una realtà conclamata: siamo vittime e carnefici, ipnotizzati dal riflesso di noi stessi su uno schermo, in una trappola narcisistica da cui non vogliamo fuggire.
L’era dell’indignazione a comando
Siamo diventati avatar inconsistenti di un pensiero liquido, capaci solo di replicare gesti e parole altrui. E quando la tragedia bussa alla porta — quando il sangue scorre in Palestina, quando i volti dei bambini diventano schegge di polvere e silenzio — tutto ciò che sappiamo fare è cambiare l’immagine del profilo, magari aggiungendo una bandiera in trasparenza. Perché indignarsi oggi è come mettere un like: veloce, indolore, illusoriamente utile.
Ma la verità è che non ci importa davvero. I post su Gaza, le stories di 24 ore con aforismi stanchi, le frasi copiate da articoli d’opinione che non abbiamo nemmeno letto fino in fondo — tutto serve a placare il senso di colpa borghese, non a cambiare le cose. E intanto, il popolo palestinese continua a morire. Lentamente, inesorabilmente, con un ritmo che non fa più notizia.
Il genocidio silenziato e la coscienza anestetizzata dell’edonismo digitale
Quella palestinese non è una guerra, è un genocidio. Sì, usiamo le parole giuste. È uno sterminio a cielo aperto, sotto gli occhi di tutti, davanti ai riflettori spenti della comunità internazionale. Ma ciò che più sconvolge non è il silenzio dei potenti — da quello ci siamo quasi abituati — quanto il silenzio nostro, quello della gente comune, assuefatta alla brutalità, incapace di reagire, incapace persino di provarci.
È il momento delle domande scomode:
Dov’è il Papa?
Dov’è la Chiesa che parla di pace?
Perché non si sposta in Palestina? Perché non fa da scudo umano, davvero, fisicamente, concretamente?
Le parole, da sole, non salvano vite.
Lo spettacolo della crudeltà: tra smartphone e macerie
Viviamo nel grande circo della connessione permanente, dove tutto è visibile ma nulla è realmente visto. I bambini sotto le bombe non commuovono più: non generano abbastanza engagement. Le tragedie, oggi, devono competere con video di gatti e balletti su TikTok.
La realtà è che abbiamo scelto l’indifferenza, perché l’empatia costa troppo. E nella logica del capitalismo emotivo, se qualcosa non frutta visibilità, non ha valore. Gaza è scomoda, complessa, troppo distante dal nostro aperitivo del sabato sera. Meglio una story triste con un sottofondo musicale. Più facile. Più vendibile.
Diteci la verità
Ditecelo, per favore.
Diteci che avete deciso di sacrificare i palestinesi.
Diteci che non avranno mai uno Stato.
Diteci che i loro figli cresceranno tra le rovine, che i loro sogni saranno polvere, che le bombe non finiranno con Gaza ma esploderanno anche in Cisgiordania.
Ditecelo con chiarezza, con brutalità.
Smettete di prenderci in giro con appelli inutili e mediazioni ipocrite. Almeno abbiate il coraggio della vostra scelta.
L’ultima occasione per l’umano
Non è più tempo di hashtag.
Non è più tempo di pacche sulle spalle, di conferenze stampa, di sorrisi diplomatici.
È tempo di scelte vere, di presenza, di azioni radicali. Ma forse questo tempo è già scaduto.
E se è così, allora diciamolo apertamente:
Benvenuti nell’era della coscienza morta.
Un’era in cui il cuore è stato sostituito da un algoritmo.
E la giustizia? Archiviata come spam.
1 thought on “Edonismo digitale e indifferenza globale: il tramonto dell’occidente”