Fonte foto: Campania Puteolana Official
Dal sogno sportivo all’incubo della violenza: l’aggressione a Gennaro Esposito riaccende il dibattito sulla sicurezza e il degrado culturale nei campi di calcio dilettantistici.
La violenza ha colpito ancora, questa volta nel cuore del calcio dilettantistico campano. Sabato 1 novembre, allo Stadio Amerigo Liguori di Torre del Greco, si è consumato un episodio che scuote profondamente non solo il mondo sportivo, ma l’intera società civile. Gennaro Esposito, presidente dell’Academy Campania Puteolana, è stato brutalmente aggredito da un gruppo di tifosi al termine della partita di Prima Categoria tra Città di Torre del Greco e Puteolana. Il motivo? Un gol segnato nei minuti finali che ha ribaltato il risultato, portando la squadra ospite alla vittoria per 2-1.
Secondo le prime ricostruzioni, l’aggressione è avvenuta in modo repentino e violento. Esposito, riconoscibile per la tuta della sua squadra e noto anche per essere stato in passato un calciatore della Turris, è stato colpito ripetutamente al volto da 7-8 giovani tifosi locali. Il bilancio è grave: frattura scomposta del setto nasale, trauma cranico e un intervento chirurgico imminente. Il dirigente è stato trasportato d’urgenza all’Ospedale Maresca, mentre la Polizia locale ha avviato le indagini, acquisendo le immagini delle telecamere di sorveglianza e le targhe delle auto presenti.
Ma questo non è solo un fatto di cronaca nera. È il sintomo di una malattia più profonda che affligge il calcio italiano, anche (e forse soprattutto) nei suoi livelli più bassi. La parola chiave è una sola: violenza.
Quando il tifo diventa odio
Il calcio nasce come sport popolare, capace di unire, di creare comunità, di insegnare il rispetto delle regole e dell’avversario. Ma troppo spesso, soprattutto nei campionati minori, si trasforma in un’arena di sfogo per frustrazioni sociali, rabbie represse e dinamiche tribali. Il tifo, da passione, si trasforma in odio. E l’odio, quando trova terreno fertile nell’impunità e nell’assenza di controlli, si fa gesto violento.
L’aggressione a Esposito non è un caso isolato. Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli episodi di violenza nei campi di provincia: arbitri minacciati, giocatori inseguiti negli spogliatoi, dirigenti aggrediti. Eppure, troppo spesso, questi fatti vengono archiviati come “incidenti di percorso”, come se fossero inevitabili effetti collaterali di un gioco che, invece, dovrebbe essere festa e competizione leale.
Il silenzio delle istituzioni
“È un episodio grave. Non si fa. Con la Federazione e le istituzioni capiremo cosa fare”, ha dichiarato Esposito. Ma quante volte abbiamo sentito parole simili? La verità è che manca una strategia strutturata per prevenire e contrastare la violenza negli stadi minori. Manca una presenza costante delle forze dell’ordine, mancano sanzioni esemplari, manca – soprattutto – una cultura sportiva che metta al centro il rispetto.
Le società dilettantistiche, spesso lasciate sole a gestire situazioni complesse, non hanno né i mezzi né il supporto per garantire la sicurezza di atleti, dirigenti e spettatori. Eppure, è proprio in questi contesti che si formano i giovani, che si educano al rispetto delle regole e dell’altro. Se il messaggio che passa è che si può aggredire un presidente per un gol subito, allora il problema non è solo sportivo, ma educativo e culturale.
La responsabilità collettiva
La violenza negli stadi non è un problema di pochi facinorosi. È una responsabilità collettiva. Delle società, che devono isolare i violenti. Delle istituzioni, che devono garantire sicurezza e giustizia. Dei media, che devono raccontare questi episodi senza sensazionalismi, ma con la giusta indignazione. E dei tifosi stessi, che devono tornare a essere parte della bellezza del calcio, non della sua rovina.
Il caso Esposito deve essere un punto di svolta. Non possiamo più permetterci di archiviare questi episodi come “scatti d’ira” o “eccessi di passione”. La violenza non è mai giustificabile. E quando colpisce chi, come Esposito, vive il calcio con passione e dedizione, allora è tutta la comunità sportiva a dover reagire.
Perché il calcio, quello vero, non si gioca con i pugni. Ma con il cuore.
