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Per Taranto è una settimana decisiva per il futuro dell’ex Ilva. Eppure il sindaco si dimette. Piero Bitetti, eletto il mese scorso, lascia. Una decisione motivata come «mancanza di agibilità politica» e giunta ieri in serata, dopo un duro confronto con alcuni ambientalisti. Ci sono state anche dure contestazioni a palazzo di Città: cori e slogan sul suo operato e su quello del governatore della Puglia, Michele Emiliano. Inoltre, stando a quanto Bitetti avrebbe raccontato a persone a lui vicine, sarebbe stato oggetto anche di alcune gravi minacce. E così, la città della più grande acciaieria d’Europa si ritrova senza sindaco. Un vero e proprio colpo di scena a poche settimane dal voto. Eletto nel centrosinistra ed espressione di “Con”, il movimento vicino a Emiliano, sapeva bene che – subito dopo l’insediamento – Acciaierie d’Italia sarebbe stata la sua più importante partita.
Taranto, sempre le acciaierie il punto nodale
Dal 2012, l’area a caldo è ancora sotto sequestro (ma con facoltà d’uso) per presunto disastro ambientale e sanitario. Gli impianti – stando alle denunce dei sindacati e alla cronaca dei vari incidenti – sono ormai obsoleti. I tanti governi che si sono succeduti hanno iniettato liquidità e tenuto in vita lo stabilimento attraverso numerosi decreti salva-Ilva. Inoltre la cassa integrazione è stata adoperata per mantenere i livelli occupazionali, mentre tra passaggi di proprietà e commissariamenti, ad oggi l’azienda è in perdita e non ha ancora un nuovo proprietario.
La discussione in municipio
Il Comune può dire la sua sulla questione Ilva. Ed è per questa ragione che, ieri pomeriggio, il primo cittadino (in quel momento ancora in carica) e l’assessore all’Ambiente, Fulvia Gravame, avevano invitato una rappresentanza delle associazioni a palazzo di Città per ascoltare le loro posizioni sull’accordo di programma interistituzionale. Domani era invece in programma il consiglio comunale monotematico chiamato a decidere sull’eventuale intesa con il governo e il 31 il vertice al ministero delle Imprese e del Made in Italy con la decisione finale. La decisione di Bitetti mette tutto in discussione.
Il governo e i dubbi dei cittadini
Da un lato c’è il governo, in pressing per chiudere la partita sul siderurgico, che ha dato il via libera all’Autorizzazione Integrata Ambientale. Ha annunciato un piano di decarbonizzazione che prevede la realizzazione di tre forni elettrici (in progressiva sostituzione degli altiforni entro 8 anni) e di quattro impianti Dri (di preridotto) che andranno alimentati con il gas e dunque con una nave rigassificatrice. Il Governo, tuttavia, si è dichiarato disponibile a rispettare le scelte del territorio. Territorio che, stando però alle parole del sindaco (che lo rappresentava sino a poche ora fa), ritiene irricevibile la presenza della nave e vuole puntare alla chiusura dell’area a caldo.
La questione carbone
E poi c’è la Regione con il presidente Michele Emiliano che spinge per il sì all’accordo di programma sulla decarbonizzazione. Anche i sindacati sono favorevoli al piano a patto che si tutelino i posti di lavoro. Infine, i comitati cittadini e le associazioni ambientaliste che, dopo anni di lotte e di denunce, sanno che questo potrebbe essere un momento decisivo. E così la città che l’Onu, tre anni fa, ha inserito tra le «zone di sacrificio» non ci sta. Gli ambientalisti hanno parlato di «finto piano di decarbonizzazione con cokerie, batterie e altiforni», portando al sindaco Bitetti documenti e testimonianze di questi lunghi anni di battaglie, spesso inascoltati. «Vogliamo vivere», «Taranto libera» le loro parole.
L’addio del sindaco tra urla e minacce
«Siamo qui – aveva commentato il sindaco durante l’incontro – per difendere il territorio. Io non ho passato una sola notte dal 17 giugno, giorno della mia proclamazione, senza pensare all’ex Ilva. La prima bozza di accordo ci è stata inviata il 18 giugno con richiesta di approvazione in 48 ore. Abbiamo detto che i 13 anni di transizione proposti sono troppi». Poi aveva lasciato la riunione prima del termine per «motivi familiari». Ma alcuni manifestanti avevano bloccato l’uscita del sindaco gridando: «Assassini». Poco dopo, sono arrivate le dimissioni del primo cittadino depositate all’ufficio Protocollo.

 
             
         
        