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Il secolo si è dischiuso come una ferita, e il suo sanguinamento non si è ancora arrestato. Dall’11 settembre al Covid-19, fino ai venti guerrafondai che soffiano in ogni angolo del globo, l’umanità pare immersa in un sogno febbrile – o meglio, in un incubo meccanico, senza sveglia. In questo scenario grottesco e crudele, cosa direbbe Arthur Schopenhauer? Che parole userebbe per commentare l’agonia silenziosa del mondo moderno?
Forse nessuna. O forse solo una: sofferenza.
Il mondo come orrore e rappresentazione
Schopenhauer, sacerdote involontario del pessimismo assoluto, aveva compreso ciò che noi ancora fingiamo di ignorare: la realtà non è né buona né redimibile. Nel suo “Il mondo come volontà e rappresentazione”, egli smaschera il trucco cosmico. L’esistenza è una volontà cieca, indifferente, incessante nel suo strisciare verso l’autodistruzione. Nessuna etica, nessuna politica, nessuna fede può redimere questa condizione. Possiamo solo prenderne atto. Oppure impazzire.
L’11 settembre: l’architettura del caos
Nel giorno in cui le torri crollarono come marionette di vetro e cemento, il mondo si risvegliò – per un istante – nel cuore della volontà schopenhaueriana. Nessuna strategia, nessun disegno razionale. Solo il grido muto di un’esistenza affamata di rovina. Per Schopenhauer, ciò che è accaduto non sarebbe altro che un’epifania del dolore universale, una delle tante danze macabre della volontà che abita ogni uomo. Un simbolo, più che un evento.
La pandemia come specchio dell’assurdo
Il Covid-19 è stato l’orchestra funebre di un mondo già traballante. Ogni maschera, ogni tampone, ogni bollettino quotidiano altro non è stato che un riflesso dell’assurdo esistenziale. Schopenhauer ci avrebbe ricordato che non siamo vittime del caso, ma della necessità metafisica della sofferenza. La scienza ha cercato spiegazioni, ma l’unica verità è che l’universo ci odia con la stessa precisione con cui ci ignora.
Le guerre: la volontà vestita di carne e sangue
Dalle trincee del passato alle guerre contemporanee, l’uomo continua a combattersi, come un animale che sbrana se stesso. Per Schopenhauer, tutto questo non sarebbe scandaloso. Sarebbe solo naturale. Le guerre sono la messa in scena della nostra natura più profonda: conflitto, dolore, delirio. L’uomo è prigioniero della volontà, e la volontà ama il sangue.
L’illusione del progresso
La modernità si crede razionale, illuminata, civile. Ma è solo un inganno più elegante. Schopenhauer avrebbe visto nei grattacieli, negli algoritmi e nelle cure sperimentali null’altro che nuove foglie su un albero marcio. Il dolore non scompare: cambia costume. La tecnologia è solo una cortina teatrale davanti a un abisso identico a quello dei secoli bui.
L’abisso ci guarda, e sorride
Interpretare il presente con gli occhi di Schopenhauer significa rinunciare alla speranza come categoria filosofica. Ma in questa rinuncia, c’è anche una forma di liberazione. Comprendere la tragicità della vita è, forse, l’unico atto di lucidità rimasto. Ed è in quella lucidità che si annida la più profonda forma di terrore metafisico.
Siamo marionette in uno spettacolo grottesco. E la mano che ci muove non sa di muoverci.
La verità non consola. Ma almeno non mente.