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L’imprenditore Stefano Versace ha scritto un lungo post prendendo come spunto il bilancio della Salernitana. Le sue parole toccano un’importante fetta del mondo del calcio professionistico. Soprattutto chi non ha holding o finanziarie alle spalle rischia di perdere molto più di quanto investe. Di seguito le parole dell’imprenditore.
Stefano Versace: “Parliamo di numeri, perché i numeri non fanno ricorso al TAR”
Così l’imprenditore: “Ho letto il bilancio depositato dalla Salernitana. Ed è una lettura illuminante. Non perché insegni come gestire bene una società di calcio, ma perché mostra senza filtri come funziona davvero il calcio italiano, quello vero, non quello raccontato nei bar o sui social quando fa comodo. Parliamo di numeri, perché i numeri non fanno ricorso al TAR. Oltre 41 milioni di perdita in Serie A, con circa 63 milioni di ricavi e più di 100 milioni di costi. In pratica ogni euro incassato ne trascina fuori uno e mezzo, come una barca che imbarca acqua e invece di tappare le falle aumenta la velocità. Stipendi sopra i 50 milioni, ammortamenti sui calciatori oltre i 20, debiti che sfiorano i 100. Il tutto tenuto in vita da continui versamenti della proprietà. Questa non è sostenibilità. È Accanimento terapeutico.”
Salernitana, perdite anche dopo la retrocessione
Continua Versace: “Poi arriva la retrocessione e la magia non si interrompe. Anche con la squadra in Serie B il bilancio continua a perdere oltre 30 milioni. Meno ricavi, meno appeal, meno diritti tv, meno sponsor. Ma i costi restano lì, come una cambiale che non guarda la classifica. E quando sei addirittura in Serie C perdere a questo ritmo significa bruciare valore ogni mese, non investire. Nel frattempo, sul campo arrivano le sberle e invece di stringere i denti si prova la via giudiziaria. Ricorsi, tribunali, appelli. Tutti respinti. Zero risultati sportivi, zero risultati legali, molto rumore e tanto orgoglio ferito.”
Una situazione generale nel calcio
Il post di Versace non vuole prendere di mira il mondo granata. La situazione catastrofica delle finanze del calcio italiano non conosce latitudini. Continua l’imprenditore: “Prima che qualche salernitano si senta preso di mira e reagisca di pancia, come già successo coi comaschi, chiariamo subito una cosa. Questo non è un post contro una tifoseria o una città. È un post contro un sistema. Salernitana, Como, Sampdoria o Verona, Lazio, Milan, Lecce sono solo esempi non virtuosi e virtuosi. Cambiano le maglie, non cambia la diagnosi. Perdite strutturali, costi fuori scala, dipendenza cronica da proprietà che tappano buchi anno dopo anno. Il Como perde più di 100 milioni in una stagione perché ha alle spalle una proprietà che può permetterselo e perché il calcio è uno strumento dentro un progetto più ampio. Altri club perdono meno, ma senza quella potenza di fuoco e senza un piano parallelo. Cambiano le cifre, non cambia la logica. Si spende più di quanto si incassa sperando che qualcuno paghi il conto. Un modello che funziona solo se accanto al campo hai una tipografia che stampa banconote.”
Il cuore del problema
E qui veniamo al cuore del problema. Questo calcio non è sostenibile perché ha smesso di curare il prodotto. Se per vendere Milan – Como di Serie A devi andare a giocare a Perth, vuol dire che da vicino non accendi più sufficiente pubblico o che comunque hai bisogno di uno più ampio. Negli ultimi quindici anni il prodotto è stato spolpato. I ricavi audiovisivi italiani viaggiano intorno ai 900 milioni mentre la Premier supera i 3 miliardi e persino Liga e Bundesliga ci hanno superato. Non è sfortuna. È declino industriale. A questo aggiungiamo stadi fatiscenti, spesso scollegati dal mondo reale. Pochi parcheggi, zero integrazione con i mezzi pubblici, esperienze da anni Novanta vendute come “tradizione”.”
Un mondo senza regole
Sempre Versace: “E poi l’assenza totale di regole semplici e serie. Nessun vero rapporto tra stipendi e ricavi, nessun tetto credibile, nessun freno automatico quando i conti deragliano. Il risultato è un mercato drogato, dove gli agenti incassano cifre sproporzionate e controllano il traffico come casellanti invisibili. Ma di questo parleremo un’altra volta. Oggi concentriamoci su una conclusione. Questo sistema calcio, così com’è, non sta in piedi. Vive di iniezioni di denaro, ricorsi, piani di rientro, deroghe e illusioni. E quando la realtà presenta il conto, si grida al complotto. I bilanci però non tifano per nessuno. Raccontano solo una verità semplice e brutale. Se non cambi il modello, prima o poi la casa brucia. E continuare a discutere del colore delle tende non la salverà.”
Conclude Stefano Versace
